Il martedì nero vissuto da Wall Street l'altro ieri è stata la cartina di tornasole del mutato umore degli investitori. Il timore è che la mano più leggera usata dalla Federal Reserve sui tassi nella riunione di inizio febbraio, quando la stretta era stata limitata uno 0,25%, possa rivelarsi solo un fatto episodico. L'inaspettata resistenza mostrata dall'inflazione in gennaio (6,5%, livello sideralmente lontano dal target del 2%) ha dissipato le speranze di un raffreddamento rapido dei prezzi in grado di incoraggiare una politica monetaria meno rigida. Ciò vale anche per l'Europa, dove la Bce di Christine Lagarde ha già messo in canna un giro di vite dello 0,50% per il mese prossimo. Il governatore della Banca di Francia Francois Villeroy de Galhau ha tuttavia spiegato che l'Eurotower «non è affatto» obbligata ad alzare i tassi in tutti i meeting da qui a settembre.
La marcia di avvicinamento al prossimo vertice della banca centrale Usa, in agenda il 22-23 marzo, si annuncia quindi piena di incognite per i mercati. Per settimane, i caveat arrivati da Eccles Building sono stati ignorati. Si è preferito dare un'enfasi eccessiva alle parole del numero uno della Fed, Jerome Powell, sul «processo di disinflazione», piuttosto che quelle sulla mancanza di progressi sul versante dell'inflazione dei servizi di base (escluse le abitazioni), uno degli indicatori più monitorati dall'istituto di Washington. Gli stessi verbali della riunione di febbraio, diffusi ieri, confermano che l'inflazione sta scendendo, ma non abbastanza per contrastare la necessità di ulteriori aumenti del costo del denaro. Il fenomeno rappresenta ancora «una minaccia».
Allora, pochi membri avevano fatto pressione per ottenere un rialzo dello 0,50% del costo del denaro. Adesso, però, il fronte dei falchi è uscito allo scoperto con una frequenza tale da lasciar presumere che all'interno del board si stia cementando l'idea di una stretta al costo del denaro di mezzo punto. Su questa linea è attestato il presidente della Fed di St. Louis, James Bullard, che in un'intervista alla Cnbc ha spiegato che un aumento dei tassi più aggressivo ora offrirebbe al Fomc (il braccio operativo in materia di politica monetaria) una migliore possibilità di ridurre l'inflazione, che - pur lontana dal picco toccato lo scorso anno - è ancora troppo alta. Per Bullard, che comunque non avrà diritto di voto in occasione della prossima riunione, il rischio è che «l'inflazione ora non scenda e poi riacceleri. Dobbiamo agire, perché se l'inflazione non scende rischieremmo di replicare gli anni '70, con 15 anni di inflazione alta e non è quello che vogliamo. Mettiamo sotto controllo l'inflazione nel 2023».
Bullard va inoltre a toccare un nervo scoperto dei mercati. «Non siamo ancora arrivati al punto in cui il comitato ha stabilito il cosiddetto tasso terminale», ha chiarito.
In base alle sue proiezioni, il picco dovrebbe essere raggiunto quando verrà toccato il 5,375%, ben al di sopra a quel 5,1% fissato dal consiglio lo scorso dicembre quando i tassi sono stati alzati all'interno di una forchetta compresa fra il 4,5 e il 4.75%. Infine, Bullard ha detto che i mercati stanno forse sovrastimando il rischio di recessione nel 2023.
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