Un tempo abituata a una placida navigazione in un mare di petrol-dollari, l'Arabia Saudita è ora costretta dalla crisi del barile a correre ai ripari. Con una mossa senza precedenti nella storia del Regno: un'emissione di bond sovrani a 5, 10 e 30 anni con cui conta di rastrellare, nella giornata di oggi, tra i 10 e i 15 miliardi di dollari. Con la domanda che si preannuncia elevata, Riad non dovrebbe aver problemi a offrire un importo vicino alla parte più alta della forchetta. Il momento, d'altra parte, è dei più favorevoli. L'Argentina, un tempo segnata dallo stigma del default, ha incamerato quest'anno 16,5 miliardi di dollari dalla vendita di tango-bond, e bene sono andate anche le aste di alcuni Paesi emergenti. È la fame di rendimenti appetibili, alimentata dalla politica dei tassi negativi ormai applicata quasi su scala planetaria, a garantire una copertura senza fatica alle offerte di titoli di Stato. Così andrà anche oggi, visto che le obbligazioni made in Saudi Arabia dovrebbero offrire rispettivamente un rendimento di 160, 185 e 235 punti superiore a quello dei titoli di Stato Usa di pari scadenza.
Ai sauditi il test coi mercati serve per un duplice motivo. Il primo è quello di dare un po' di ossigeno alle esauste casse pubbliche. La picchiata dei prezzi del petrolio, che nell'estate 2015 erano di circa 120 dollari, sta da tempo facendo scricchiolare il finora prodigo welfare saudita, sottoposto a tagli e a una sforbiciata delle spese, e ha inoltre causato licenziamenti di massa e un generale rallentamento dei progetti nell'edilizia e nelle infrastrutture. Un clima di austerity mai vissuto in precedenza. Nonostante il Paese abbia più volte attinto alle abbondanti riserve valutarie, quest'anno il deficit si attesterà al 13,5% del Pil, il livello più alto dal '92, e solo nel 2020 è previsto il ritorno al pareggio di bilancio. E non solo per colpa delle quotazioni del greggio, della cui caduta Riad è tra i principali responsabili non avendo voluto concordare in seno all'Opec tagli produttivi, soltanto ora al centro delle discussioni. Anche se le ultime cifre sulla spesa per armamenti sono relative al 2012, quando furono spesi 60 miliardi di dollari, è inevitabile che la guerra con lo Yemen stia drenando risorse finanziarie importanti.
Ma il secondo obiettivo del collocamento è anche quello di testare la fiducia degli investitori nei confronti di «Vision 30». Messo a punto dal giovane principe Muhammad bin Salman, figlio del Re, il progetto punta a ridurre la dipendenza dal petrolio, fonte che ora garantisce il 70% delle entrate.
La futura quotazione del colosso Aramco, la cui capitalizzazione potrebbe aggirarsi sui 2mila miliardi, è solo la punta di diamante di un piano che prevede, entro il 2030, un aumento di peso del settore privato, destinato a salire dall'attuale 40% del Pil al 65% facendo leva sullo sviluppo di nuove industrie energetiche, turistiche e finanziarie. Un cambio epocale. Per non morire.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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