Lo stop a Nord Stream e i tagli di Gazprom: ora si rischia l'effetto a catena

L'effetto domino della chiusura di Nord Stream 2: sul gas l'Europa è dipendente da una Germania in totale sudditanza psicologica verso la Russia

Lo stop a Nord Stream e i tagli di Gazprom: ora si rischia l'effetto a catena

Il fatto che nel primo giorno di sospensione dell'attività di Nord Stream, il gasdotto baltico che congiunge Russia e Germania, per attività di manutenzione sia arrivata, come un fulmine a ciel sereno, la notizia del calo di un terzo delle forniture di Gazprom a Eni indica lo stato di tensione in cui si trova il mercato energetico del Vecchio Continente. Nella giornata di ieri il Ministero dell'Economia francese in una nota firmata dal titolare Bruno Le Maire, del resto, aveva fatto circolare la notizia secondo cui lo stop al gas russo era da considerare come uno scenario probabile.

La Russia ci tiene a sottolineare, ufficialmente, che i lavori programmati di manutenzione, programmati da tempo, dureranno dieci giorni dopo i quali Nord Stream tornerà a pieno regime. L'Occidente non ha mancato di offrire ramoscelli d'ulivo a questa dichiarazione esplicita del Cremlino, con il Canada che si è espresso a favore della pronta riconsegna alla Russia della turbina Siemens danneggiata e in riparazione la cui assenza aveva, a giugno, giustificato una riduzione del 60% del traffico gasiero nel Baltico.

Ma tutti, i decisori del Vecchio Continente a partire dal Ministro dell'Economia tedesco Robert Habeck, sono ben più pessimisti. E la mossa odierna di Gazprom contro il Cane a sei zampe, del resto tra le compagnie europee più accomodanti verso i russi, lo conferma. C'è la sensazione che lo stop al gas possa prolungarsi ben oltre i dieci giorni di lavori programmati. E che la Russia voglia portare già dall'estate all'estrema conseguenza il confronto con l'Occidente, impedendogli di riempire gli stoccaggi di gas in vista dell'inverno. L'anello debole, una volta di più, Germania e Italia. Le nazioni intente a diversificare in misura maggiore dalle forniture da Mosca, da cui erano fortemente dipendenti

La Germania rischia molto di più, in quest'ottica. A fine giugno Berlino ha alzato al secondo livello d’allarme la vigilanza sul mercato del gas su iniziativa del ministero dell’Economia guidato dal verde Habeck, vicecancelliere del governo di Olaf Scholz. Dei tre step di garanzia nel mercato energetico nazionale, il primo era stato attivato il 30 marzo scorso, a poco più di un mese dall’invasione russa dell’Ucraina. Segno che al governo tedesco manca il sangue freddo per reagire alla guerra economica russa: e la componente psicologica, il timore della recessione energetica, può giocare un ruolo chiave nel depotenziare la volontà occidentale di fornire il massimo appoggio a Kiev. Specie se Mosca, col blocco delle forniture, può suffragare le minacce con fatti concreti.

Il panico energetico tedesco è segnato dall'atteggiamento dello stesso Habeck. Il co-leader dei Verdi aveva già in passato dichiarato il rischio di “disoccupazione di massa e povertà” senza il gas russo e, da fautore della transizione, si è trovato ad essere il ministro chiamato a riattivare emergenzialmente le centrali a carbone. Oggi si ritrova ad affermare che "non sarebbe super sorprendente se lo stop si prolungasse oltre i 10 giorni", mettendo alle strette un Paese che, a suo dire, "non sarà pronto prima di due o tre anni alla transizione energetica" cavallo di battaglia dei Grunen e che oggi fatica a star dietro alla partita del gas.

La Germania ha gli stoccaggi attorno al 60% e li sta riempiendo con estrema difficoltà, al ritmo dello 0,2% al giorno: di questo passo, servirebbero cinque mesi per arrivare al livello ottimale del 90% che in genere dovrebbero essere completate per l'inizio ottobre, quando il cosiddetto "anno termico" vira nella sua fase autunnale e le compagnie energetiche fanno canonicamente iniziare la stagione estiva. L'Italia, in quest'ottica, è sullo stesso livello ma può, sul breve periodo, provare a fare affidamento su una rosa maggiore di fonti raggiungibili via gasdotto per ovviare all'emorragia di oro blu russo.

Per il nostro Paese il vero timore autunnale sarebbe legato proprio alla condotta di Berlino qualora la morsa della crisi energetica travolgesse l'industria del Paese, a cui l'Italia del Nord in particolare è organicamente legata per commesse e integrazione in una comune piattaforma produttiva. Berlino si prepara al peggio e il governo studia le misure di austerità: se la Russia dovesse fermare le forniture di gas naturale, il think tank europeo Bruegel ha stimato che la Germania dovrebbe tagliare del 15% la sua capacità di consumo energetico, limando sia dai privati che dall'industria. A Berlino si sta già realizzando un enorme silos per contenere acqua riscaldata da un impianto attivato con le rinnovabili, che può garantire il 10% dei consumi della capitale di acqua calda in inverno, consentendo di risparmiare gas. L'industria, per bocca della Confindustria tedesca, si è detta pronta a mettere sul piatto il 3% dei consumi, non oltre: a maggio proprio la bolletta energetica ha portato Berlino per la prima volta in deficit commerciale dalla riunificazione. E una Germania in deficit commerciale implica la prospettiva di vedere Berlino in recessione. Pronta a trascinare l'Europa con sé.

E altrettanto problematica dovrebbe essere la questione economica per la Germania, e anche per l'Europa intera, qualora Berlino dovesse deviare buona parte delle sue risorse economiche per un nuovo salvataggio pubblico di imprese in crisi, questa volta del ramo energetico, accollandosi i costi dell'inflazione e dei suoi derivati. "Le direttrici su cui si muove" il governo Scholz, nota La Stampa, sono tre: "sostenere le compagnie energetiche in difficoltà - per scongiurare un pericoloso effetto contagio - chiedere all'industria e ai cittadini il massimo del risparmio energetico possibile, e sfruttare al millimetro qualsiasi infrastruttura esistente". Sul primo campo, in particolare, per evitare di fare saltare le società distributrici di gas, "il Bundestag ha approvato una legge che rende possibile la partecipazione dello Stato nelle imprese energetiche rilevanti per il sistema, sul modello usato per il salvataggio di Lufthansa durante l'emergenza coronavirus". I 9 miliardi di euro di aiuti a Uniper, principale importatore e distributore di gas, potrebbero essere solo l'inizio. E si porrà il problema dell'impatto su un'inflazione già galoppante di questi nuovi esborsi.

Il problema per l'Europa è che saranno le decisioni tedesche a dettare i ritmi e i tempi della crisi. E oggi la Germania appare letteralmente in preda al panico. L'Italia, che sta diversificando di più e meglio le sue fonti e può scontare anche il vantaggio di autunni meno rigidi e più tempo per colmare le forniture, può solo aspettare, preparando i suoi piani di contingenza, riconsiderando l'utilizzo del carbone, prospettando politiche di risparmio energetico. La Francia, meno dipendente dal gas russo, teme invece che le scelte di Berlino chiamino, per contrappasso, nuova austerità sull'Eurosistema sul medio-lungo periodo per effetto della volontà tedesca di non pagare, da sola, la recessione energetica. La Russia, nel frattempo, ha già vinto la sua guerra psicologica, costringendo l'Occidente a muoversi al suo ritmo: e anche se Nord Stream sarà riattivato, Mosca potrà in ogni momento di crisi confermare la sua capacità di utilizzare il gas per lucrare vantaggi politici.

Il fatto che pur di evitare il crollo delle forniture Berlino abbia spinto sul Canada, finora irreprensibile avversario di Mosca, a aggirare di fatto le sanzioni occidentali è una plastica dimostrazione di quanto la crisi energetica possa indebolire la stessa risolutezza del fronte anti-russo in Occidente.

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