Mps, l'uscita di Axa riaccende il risiko

Il Mef pensa alla fusione con Banco Bpm. Tononi: "Non siamo interessati". Titolo a picco

Mps, l'uscita di Axa riaccende il risiko

Un fatto e nuove voci di aggregazione hanno animato la giornata di banca Montepaschi di Siena. Partiamo dal primo: ieri Axa ha completato con successo la vendita della sua quota del 7,94% nel capitale di Mps, incassando 233 milioni e una plusvalenza di circa 33 milioni rispetto all'investimento da 200 fatto a novembre con l'aumento di capitale. Insomma, un rendimento del 16,5% in soli tre mesi. La vendita è avvenuta a un gruppo di investitori istituzionali a un prezzo di 2,33 euro ad azione, ossia con un 15,1% di sconto sul prezzo di chiusura del giorno precedente. L'assicuratore francese così esce quasi del tutto di scena come azionista, mantenendo una minuscola quota dello 0,0007% del capitale. In avvio di contrattazioni, il titolo non è riuscito a fare prezzo a Piazza Affari con un ribasso teorico del 12% (a fine giornata chiuderà a -8,05%), nonostante Axa abbia rassicurato che l'operazione «non impatta in alcun modo la partnership con la banca», alla quale è legata da un accordo di distribuzione. In una nota, i francesi hanno inoltre specificato come per loro Mps fosse un mero investimento finanziario e, dal momento che da parte loro non c'è alcun interesse «a essere rappresentata nel consiglio d'amministrazione» hanno ritenuto opportuno vendere. L'occasione giusta si è materializzata con il rally del titolo delle ultime settimane.

Sul mercato, c'è chi pensa che l'attuale frammentazione azionaria del Monte possa agevolare eventuali operazioni straordinarie. Forse non è un caso, quindi, l'indiscrezione apparsa su Reuters a poche ore dalla chiusura dell'operazione di Axa: il Mef (azionista di Mps con il 64,2%) avrebbe studiato nelle ultime settimane una possibile aggregazione con il Banco Bpm, terza banca del Paese con 190 miliardi di euro di asset. Il governo l'ha sempre ritenuta un promesso sposo ideale per Mps, nell'intento non facile di uscire dal capitale entro il 2024 come concordato con l'Europa. L'ad Giuseppe Castagna, tuttavia, in tempi recenti ha negato la possibilità di una fusione con Mps, poichè sarebbe una preda troppo grande per il suo istituto. Il dossier rimane per lo meno tiepido comunque, anche perchè, spiega l'agenzia britannica dopo aver parlato con un funzionario dell'ufficio di gabinetto del governo Meloni, il fallimento dei colloqui nell'ottobre 2021 con Unicredit avrebbero generato una certa diffidenza verso l'ad di Unicredit, Andrea Orcel, che aveva chiesto una dote di 6,3 miliardi per rilevare il Monte. Motivo per cui, dalle parti di Palazzo Chigi, si preferirebbe approfondire con il Banco Bpm che, tuttavia, attraverso il suo presidente, Massimo Tononi, in serata con una dichiarazione a margine del cda ha ribadito che il suo istituto non è «in alcun modo intenzionato a perseguire un'operazione di aggregazione». Il board di Bpm, ieri, tra l'altro ha approvato la lista del Consiglio, con conferma di Castagna come ad e di Tononi come presidente, che verrà sottoposta all'assemblea dei soci del 20 aprile.

Secondo le fonti di Reuters, la fusione con Mps non scalderebbe gli azionisti di Bpm per diversi motivi: non convincerebbe l'espansione in aree geografiche con una crescita meno vivace, ma anche la prospettiva di maggiori riserve di capitale che

smusserebbero i dividendi. Inoltre, in caso di aggregazione, almeno inizialmente, il Mef rimarrebbe un azionista significativo della società e questo peserebbe sulle azioni, dal momento che lo Stato dovrebbe per forza venderle.

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