Mps ha posto il primo tassello verso la soluzione della sua crisi pluriennale che dovrebbe risolversi attraverso una fusione. Le linee guida fissate dal piano strategico 2021-2025, approvato ieri dal cda, lascia infatti la porta aperta ad aggregazioni con Unicredit che resta il potenziale partner più accreditato. Gli obiettivi fissati dall'ad Guido Bastianini prevedono il raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2022 e dell'utile nell'esercizio successivo. Quest'anno è, invece, attesa una perdita, a cui seguirà un 2021 «impattato da oneri di ristrutturazione e da rettifiche di valore su crediti». Il rafforzamento patrimoniale sarà in linea con quanto ipotizzato nelle ultime settimane: il fabbisogno di capitale è indicato tra i 2 e i 2,5 miliardi di euro, un ammontare - spiega Rocca Salimbeni - «idoneo a risolvere lo scenario di shortfall di patrimonio regolamentare che al 31 marzo 2021 è quantificato in oltre 0,3 miliardi e, al 1 gennaio 2022, in circa 1,5 miliardi». La proposta dovrà essere preventivamente approvata dalla Bce cui sarà sottoposta entro il prossimo 31 gennaio. Nel frattempo, il ministero dell'Economia (principale azionista con il 68,4%) dovrà discutere con la Commissione europea le modalità di adesione considerato che gli accordi originali con Bruxelles prevedono il disimpegno entro fine 2021.
Il futuro del Monte passerà anche da un taglio del personale. Sono previsti circa 2.670 esuberi, un valore inferiore alle stime circolate di recente e che tiene conto delle uscite tramite fondo di solidarietà, turnover naturale e nuovi ingressi. La Fabi terrà il punto. Il nuovo piano industriale rappresenta «soltanto il primo tempo di una partita molto più complessa nella quale incideranno la voglia e la determinazione delle parti interessate rispetto alle decisioni già prese della Bce e della Commissione Ue», sottolinea il segretario Lando Maria Sileoni precisando che «il numero delle assunzioni non potrà essere inferiore al 50% delle uscite: l'argomento sarà oggetto di trattativa sindacale». Il secondo tempo, però, rischia di complicarsi non solo per la difficoltà dell'interlocuzione con l'Europa, ma anche per le divisioni della maggioranza.
In manovra è ancora in bilico l'emendamento Dta che sgraverebbe l'acquirente di Mps di oltre 3 miliardi di tasse. I Cinque stelle sperano di farlo respingere per realizzare il sogno del polo pubblico con Carige e PopBari.
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