Transizione ecologica e rivoluzione digitale sono due espressioni molto in voga negli ultimi tempi. Sono i due driver principali degli investimenti che saranno effettuati da Next Generation Eu in base ai singoli Recovery Plan dei Paesi europei. Senza contare che concetti come «sostenibilità», «innovazione» e «social responsibility» sono al centro delle politiche industriali di tutti i grandi gruppi multinazionali che, nel presentarsi al mercato, spesso prospettano un futuro all'insegna del green e della tecnologia blockchain. Sia chiaro: sono parimenti desiderabili sia la riduzione delle emissioni inquinanti che i risparmi di energia, tempo e denaro conseguiti attraverso le transazioni certificate digitalmente. Eppure la realtà quotidiana sembra quasi incaricarsi di smentire questa narrazione. Lo dimostra l'andamento dei mercati di ieri. Tutte le principali Borse hanno sofferto doppiamente nell'arco di una stessa giornata. Prima per il massimo a 7 anni toccato dai future su Brent e Wti; poi per la loro repentina discesa che ha finito con il penalizzare i titoli del settore energetico e petrolifero, protagonisti delle prime ore di contrattazione. È bastato l'impasse sulla produzione di greggio nell'ultimo vertice Opec+ a determinare questa forte volatilità. Il sell off, infatti, sarebbe stato determinato dalla volontà degli operatori di calmierare i rischi di iper-inflazione, una vera minaccia per la ripresa economica. Secondo gli analisti di Intesa Sanpaolo, «i prezzi delle materie prime energetiche si attesteranno nel 2022 in media su livelli inferiori agli attuali valori di mercato, ma non avremo certo un ritorno verso i minimi registrati nel 2019 o nel 2020».
Per questo, aggiungono, «le industrie europee e, in particolar modo italiane, devono prepararsi a convivere con maggiori costi». Lo stesso discorso vale per l'oro ritornato in area 1.800 dollari l'oncia nonostante il ciclo macroeconomico volga al bel tempo. Nell'epoca del bitcoin e del green, quindi, petrolio e oro restano le vere bussole.
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