Cucinato a fuoco lento e col rischio di scottare le dita non solo ai cuochi, l'accordo sul tetto del debito Usa è servito. Ma ora rischia di andare di traverso ai palati più intransigenti del Congresso. Insidie nel delicato cammino parlamentare di cui sono consapevoli il presidente Joe Biden e il presidente della Camera, il repubblicano Kevin McCarthy, artefici della bozza d'intesa che, se approvata, scongiurerebbe il rischio di appiccicare sulla schiena dell'America il bollino nero del default.
Tempo per le chiacchiere non ce n'era quasi più, con l'ora X ormai a portata di calendario. «Ci sono risorse fino al 5 giugno per far fronte ai nostri impegni finanziari», aveva ammonito il segretario al Tesoro, Janet Yellen. La fretta, dopo giorni di infruttuosi colloqui fra le parti, ha così finito per generare il più classico dei compromessi. L'intesa è infatti basata sulla sospensione per due anni del limite di indebitamento, lascia inalterati per l'anno fiscale 2024 i livelli di spesa e li aumenta dell'1% nel '25, andando a scalfire appena in superficie i problemi di bilancio. Il programma di assistenza sanitaria Medicare, per esempio, rimane inalterato. I tagli, prevalentemente concentrati sui fondi anti-Covid non ancora impiegati e su una riduzione di 10 miliardi, a 70 miliardi, delle risorse tese a rafforzare la caccia agli evasori, dovrebbero infatti aggirarsi sullo 0,2% del Pil. In soldoni, circa 650 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni. Ciò dovrebbe essere sufficiente a evitare un «remake» del 2011, quando temporeggiamenti assortiti nello svolgimento della maratona negoziale sul debito erano costati agli Stati Uniti la perdita della tripla A, sinonimo di massima affidabilità creditizia, da parte di Standard&Poor's e un capottamento di Wall Street.
Biden ha naturalmente difeso il «deal», definendolo «un importante passo avanti che riduce la spesa proteggendo i programmi fondamentali per i lavoratori e facendo crescere l'economia per tutti», ma al tempo stesso ha ammesso che «non tutti ottengono ciò che vogliono». Un invito, quasi una supplica a mezza voce, a non boicottare una proposta che McCarthy ha difeso a spada tratta («Non ci sono nuove tasse, nessun nuovo programma governativo») e che conta di mettere ai voti già mercoledì prossimo.
Il problema è che, nonostante la quasi totale assenza di dettagli, un malumore bipartisan sta salendo al Congresso come una marea. Alla Camera, dove il Grand Old Party ha una maggioranza risicata, l'ala più radicale che chiede tagli al bilancio ben più sostanziosi potrebbe avere gioco facile nel sabotare la bozza d'intesa. La tattica, elementare, potrebbe essere quella ventilata dal senatore repubblicano dello Utah, Mike Lee: ostruzionismo a tutto campo con l'utilizzo di manovre procedurali, in modo da ritardare fin oltre la data limite del 5 giugno la conversione in legge del pacchetto. Con l'inchiostro che ancora deve asciugarsi sull'ipotesi d'intesa, un gruppo di 35 membri ultraconservatori ha inoltre tirato pubblicamente per la giacchetta McCarthy chiedendogli di strappare più concessioni al partito dell'Asinello.
Ma il furore non risparmia il quartiere democratico, dove non pochi parlamentari progressisti sono saliti sulle barricate poiché alla prospettata austerity nella spesa sociale (tipo i requisiti più stringenti per beneficiare dei buoni pasto) si contrappongono gli aumenti negli stanziamenti per difesa e veterani.Insomma: da sinistra a destra, tira un'aria di fronda che oggi ai mercati potrebbe anche non piacere.
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