Vivendi si difende: «non abbiamo il controllo di Telecom Italia, ma solo un'attività di direzione e coordinamento». La comunicazione, richiesta da Consob, arriva in serata e non chiude la contesa ma solo una delle infinite puntate della lunga estate bollente del gruppo francese. Il braccio di ferro continua.
La distinzione tra controllo e coordinamento è in punta di diritto, ma le conseguenze sono rilevanti. Se fosse dimostrato il controllo di fatto di Vivendi su Tim, il gruppo di Bollorè dovrebbe consolidare a bilancio gli oltre 25 miliardi di debito netto della società italiana, con il rischio di un eccessivo sbilanciamento posto che, attualmente, ha in cassa un miliardo circa. Senza considerare una simile definizione potrebbe accelerare la procedura sul «golden power» ovvero sui poteri di intervento statale rispetto alle attività ritenute strategiche per il Paese come lo sono i cavi di Sparkle. Vivendi comunque prende la parola e sottolinea «che le norme sul controllo di fatto, ai sensi dell'art. 2359 del codice civile, sono applicabili solo in caso di una stabile posizione di controllo esercitato a livello assembleare, insussistente nel caso in specie». Non è proprio così. Si tratta di una interpretazione alla francese del codice civile italiano che parla di «influenza dominante», da dimostrare chiaro, e su cui proseguiranno le indagini.
La delicata partita a scacchi tra Vivendi e le istituzioni italiane, potrebbe peraltro sbloccarsi grazie allo scorporo della rete Tim che, prima o poi confluirebbe in open Fiber, joint venture tra Cdp ed Enel nella banda larga. Sull'argomento, tabù fino a poche settimane fa, si sono registrate recentemente diverse aperture. Addirittura da Arnaud De Puyfontaine, ad di Vivendi e di Tim (ad interim). La soluzione da sempre accarezzata dalle istituzioni italiane che ambiscono alla presenza di un solo interlocutore in grado di investire massicciamente nella rete, permetterebbe peraltro a Vivendi di mantenere la partecipazione detenuta dai francesi in Mediaset (pari al 28,8% del capitale) attualmente nel mirino di Agcom in quanto superiore ai tetti normativi.
Ecco quindi che le dichiarazioni rilasciate ieri a La Stampa da Franco Bassanini, ex presidente di Cdp e oggi numero uno di Open Fiber, si inseriscono in uno scenario in pieno movimento. «Open Fiber, o i suoi azionisti, sono ben posizionati per acquisire la rete Telecom, potendo sfruttare al meglio le sinergie tra le due reti e accelerare la migrazione di tutti dal rame alla fibra, con vantaggi importanti anche per i clienti finali» ha infatti sostenuto il manager. L'ipotesi di una fusione era finora sempre stata esclusa da Francesco Starace, ad di Enel anche perché si tratta di un'attività valutata, euro più euro meno, 15 miliardi, complessa quindi da assorbire. «Bassanini ha gettato il cuore, in qualche modo, oltre l'ostacolo, interpretando, più che la volontà dei singoli azionisti, la mutata sensibilità politica sul tema e sul potenziale ruolo aggregante di Open Fiber» sostiene una fonte romana. Certo i tempi e le modalità sono tutt'altro che semplici.
Per la rete Tim c'è chi ipotizza una operazione di nazionalizzazione, chi uno scorporo con successiva quotazione e ingresso d di Open Fiber a fianco di Tim e chi, infine, le nozze colossali con Open Fiber benedette da Tesoro. Il Cipe intanto ieri ha assegnato 1,3 miliardi per completare la banda ultralarga.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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