Effetto Unipol, per i Ds ora i Pm sono cattivi

I leader del Botteghino si sentono assediati e accusano: "C’è qualcuno negli apparati dello Stato che vuol farci fuori"

Effetto Unipol, per i Ds ora i Pm sono cattivi

Roma - Aria da tragedia, atmosfere da Caduta degli dei, rabbia, stizza, denunce rabbiose, anatemi contro la magistratura, cautele estreme in tv: tutto questo accade nelle stesso momento, nello stesso partito - e soprattutto per lo stesso motivo, l’Unipol - all’ombra della Quercia. E accade in un partito che oggi inveisce contro la magistratura, invoca «leggi bavaglio», dopo che per anni aveva fatto (e chiesto) esattamente il contrario.
Se si vuole capire quanto sia dirompente la questione in casa Ds, stasera si deve partire da via Teulada, dallo studio più rovente della settimana, dalla puntata di Anno Zero sulle intercettazioni. E se si vuole un’idea di quanto sia drammatica la situazione della Quercia, nel giorno delle polemiche contro media e magistrati, basta indagare un piccolo retroscena del programma: Michele Santoro avrebbe sognato di avere ospite un leader, Massimo D’Alema, aveva già ottenuto l’assenso di un protagonista come Nicola Latorre, e si ritroverà invece un «difensore supplente» come il senatore Massimo Brutti. Il motivo? Semplice. Di fronte alla possibilità di una puntata che già annuncia ascolti record nel popolo della sinistra (stupito, confuso, ma anche «curioso»), gli strateghi del Botteghino hanno stretto le briglie sulla schiena degli stessi dirigenti. Alla vigilia della puntata, consultazioni frenetiche fra i vertici e comunicatori di partito hanno imposto lo stop a Latorre - troppo sovraesposto sui quotidiani di questi giorni - e spostato la linea sulla tattica del catenaccio, con un volto meno noto. Una scelta opposta a quella di monsignor Fisichella durante la puntata difficilissima su Chiesa e pedofili (intervento incensato da tutti i giornali per misura e coraggio dimostrati in studio), ma che contiene i «rischi». Allarga le braccia, il conduttore: «Che dire? Il coraggio paga sempre, ma i leader Ds, purtroppo per loro, credo, non vogliono rischiare. In ogni caso, anche con l’aiuto degli ospiti - conclude Santoro - discuteremo liberamente e civilmente come sempre».
Ovviamente i temi del dibattito, stasera, sono di quelli che possono mandare in cortocircuito la linea difensiva della Quercia, asserragliata nel bunker a difesa di un’immagine compromessa dai «sognatori di banche» e dal repertorio di frasi in libertà che i dirigenti dei Ds hanno consegnato agli atti processuali nei loro colloqui con i «furbetti del quartierino» della finanza, e uomini Unipol. I militanti di base sono confusi e a volte indignati. Ieri l’Unità pareva un giornale del tempo di guerra, con un titolone a sei colonne: «Intercettazioni, la rivolta dei Ds» (neanche fossero le barricate contro i carrarmati sovietici a Praga). Per non parlare dei catenacci di prima: «Aggressioni e veleni, indebolito lo Stato di diritto». E poi, il diluvio di anatemi distillati da leader e opinionisti: per Fassino ad esempio è «fango»; per il direttore, Padellaro, si è messo in moto «un frullatore di veleni». La ciliegina sulla torta, l’anticipazione di quello che (forse) verrà ripetuto ad Anno Zero, arriva dal senatore Brutti: «C’è qualcuno, innanzitutto in settori degli apparati dello Stato, che ha interesse a mettere in difficoltà il partito più grande della coalizione. La circolazione di questi testi non è pensabile senza la collaborazione di pubblici ufficiali».
Proprio su questo punto ieri si è innestato il contropiede del Csm, che in tutte le sue componenti ha fatto quadrato contro gli attacchi dei Ds: «Ritengo ingiustificabili osserva l’ex presidente dell’Anm, Antonio Patrono, di Magistratura indipendente - le critiche alla magistratura in relazione all’applicazione di una normativa che appare confusa e imprecisa». Giuseppe Maria Berruti, di Unità per la Costituzione precisa: «La vicenda è politica non giudiziaria. Ancora una volta si fa diventare la giustizia terreno di uno scontro che ha tutt’altra genesi».

E persino Livio Pepino, di Magistratura democratica, osserva: «Rispetto a una decisione dei giudici opinabile ma possibile, visto che la legge non è stata scritta bene su quel punto, non vedo ragioni di conflitto tra politica e magistratura. Mi pare, piuttosto, un’occasione di polemica politica, rispetto alla quale la decisione giudiziaria è scarsamente rilevante». Toghe rosse addio?

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