Era l'altra Brigitte Bardot. Diede la voce all'eros di tutta una generazione

C'era Daniel le rouge, era Cohn-Bendit, c'era la Francia del maggio di quel Sessantotto. C'erano soprattutto la bellezza inquietante ed i sospiri di Jane Birkin

Era l'altra Brigitte Bardot. Diede la voce all'eros di tutta una generazione
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C'era Daniel le rouge, era Cohn-Bendit, c'era la Francia del maggio di quel Sessantotto. C'erano soprattutto la bellezza inquietante ed i sospiri di Jane Birkin, le sue magliette trasparenti, i jeans, le scarpe da tennis, quel modo décontractée, casuale però mai délabrée dunque scomposto, riassunto nello scritto di Olivier Rollin, il maoista della sinistra proletaria, il suo compagno incontrato a Sarajevo: «... Jane che cammina sulla spiaggia, camicia di lino mossa dal vento, una matita infilata tra i capelli, semplicità, austerità. Jane nella sua casa di Parigi, sotto i tessuti stampati scuri, i tendaggi, i fronzoli, le ghirlande, i lampadari, gli insetti impagliati, le foto, i gingilli della memoria: un'eccentrica inglese». Di certo inglese, anche in quella dizione con qualche inciampo mai però ripreso dai francesi che per lei ebbero una riverenza come mai nei confronti di altri sudditi o nativi della terra di sua maestà la regina Elisabetta.

Era allora il tempo di una vita libera, là dove l'aggettivo lasciava aperto il campo a varie letture, interpretazioni, comportamenti, perché il ruolo della donna era tale e definito, così come quello dell'uomo, fossero i pensieri barricadieri di Rollin o il vapore delle Gitanes papier mais di Serge Gainsbourg, sfumature di maschi che mai hanno coperto e oscurato la bellezza immediata di Jane, così desiderata e così sfuggente, leggera e profonda assieme. Erano gli anni di Françoise Hardy ed eravamo tutti garçons et filles de son age, quando, improvvisamente, fummo presi di sorpresa, da quel respiro orgasmico, la canzone che cambiò il rapporto con i 45 giri, le feste in casa, il ballo del mattone. Jane Birkin era la trasgressione ma non volgare o sguaiata, nessun trucco, nessuna postura indecente, una lieve smorfia sulla bocca appena socchiusa, un velo agli occhi, musa di fantasie mille, icona ma non pop come si usava e si usa ricordare perché nulla di popolare Jane Birkin aveva, sempre che l'aggettivo significhi ancora qualcosa. Semmai le sue scelte diventarono oggetto di culto, la moda la colse al volo, nel senso vero perché Jane Birkin incontrò Jean Louis Dumas, amministratore delegato di Hermes, durante un viaggio aereo da Parigi a Londra e si lamentò perché la propria borsa non riusciva a contenere tutto il necessario, dunque sarebbe stato opportuno inventare qualcosa di più pratico e al tempo stesso elegante, come Jane per dire. Nacque la Birkin Bag, oggetto di cult assoluto, dai 7mila euro fino ai 255.700 per il modello Birkin Himalaya con diamanti, aggiudicato all'asta di Christie's. Strana svolta per una ragazza che camminava per le strade di Londra, e poi di Parigi e dovunque e sempre, tenendo tra le mani un cesto di vimini, pure quello entrato assolutamente fra i memorabilia, una femmina e il suo paniere. Tempi rivisti e rilanciati con i nude look, i pantaloni a vita bassa, i jeans a zampa di elefante, stivali sotto mini abiti, anticipando costumi contemporanei, in fondo una donna senza tempo, adulta e bambina assieme, copiata da sempre però inimitabile, profumata da un'essenza da lei stata nomata «l'air de Rien».

Amava gli animali, come la «Marianne» Brigitte Bardot, per rispetto non mangiava carne e concedeva a Dolly, la sua cagnolina, l'interno di un croissant, durante la colazione mattutina alla brasserie Les Arènes, di Parigi. Ha vissuto come ha voluto, evitando di mascherarsi mostruosamente con la chirurgia, avendo avuto il privilegio di essere stata giovane e immediata da sempre.

Tra le ultime parole, per ricordare: «La stanza è buia, una luna gelida si è ritirata in silenzio per lasciare il posto a una nebbia grigia. La mia testa ronza per le ferite della notte. Ho perso il mio sogno». I suoi sospiri dormono in un disco a quarantacinque giri.

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