«È stata una vittoria simbolica quella dell'opposizione: licenziare la bandiera dell'Akp nelle principali città alle elezioni amministrative è stato importante, ma niente cambierà in Turchia. Erdogan ha ancora il pieno controllo del Paese: il potere esecutivo, legislativo, giudiziario e la sicurezza sono tutti nelle sue mani. Il risultato elettorale ha irrobustito il morale dell'opposizione, ma non è abbastanza per superare le sfide imposte dal consolidamento del potere nelle mani di Erdogan».
È Abdullah Bozkurt che ci racconta della Turchia di questi giorni. Un Paese, il suo, che ha imparato a conoscere ancora meglio quando è stato costretto ad abbandonarlo. Giusto in tempo per evitare l'arresto nella sua redazione. Bozkurt è una delle voci silenziate da Erdogan - la posizione editoriale del giornale di cui era capo redattore era critica nei confronti dell'establishment; il quotidiano venne sequestrato nel marzo 2016 con accuse inventate e trasformato in organo di stampa governativo in una notte -, oggi che continua a fare il giornalista, è costretto a vivere in Svezia e probabilmente non potrà mai più tornare a casa. Anche perché - nonostante la battuta d'arresto alle amministrative - il vento politico difficilmente cambierà presto nel Paese. E di questo Bozkurt è certissimo. «Quando l'Akp ha perso la maggioranza in parlamento alle elezioni del giugno 2015, Erdogan non ha provato a creare un governo di coalizione, ma ha spinto e ottenuto le elezioni anticipate già nel novembre 2015 per riconquistare la maggioranza. E in quel periodo abbiamo visto la Turchia aggredita da attacchi bomba attribuiti all'Isis: tre attacchi diversi che uccisero circa 150 persone. Molti credettero a questa storia, ma l'Isis non aveva alcun motivo di attaccare, dal momento che stava ricevendo forniture e libertà di movimento per i combattenti attraverso il Paese». Il giornalista esule apre questa parentesi per spiegare che «la grande sfida per Erdogan oggi non è l'opposizione, che egli può ancora manipolare, dividere e neutralizzare, ma l'economia di cui ha poco controllo. Le cose peggioreranno in Turchia: è molto probabile una crisi internazionale per distrarre l'opinione pubblica interna. Il che potrebbe significare uno scontro con la Grecia, per esempio, o un'altra incursione militare in Siria».
Erdogan teneva tanto alle amministrative e si è speso non poco per un risultato che poi non è arrivato. Ne aveva bisogno per mascherare le gravi condizioni in cui versa l'economia, ma anche per dimostrare a quanti lo criticano che non possono prescindere da lui. Quella delle scorse settimane è stata una campagna elettorale disperata per il «sultano», che all'indomani dell'attentato in Nuova Zelanda ha diffuso le riprese all'interno della moschea «in tutte le manifestazioni - che sono state trasmesse ripetutamente da dozzine di reti tv - amplificando il messaggio dell'attentatore. Sta conducendo e costruendo lo scontro e la contrapposizione islam-cristianesimo e turchi-occidentali che sono piuttosto pericolosi. Sta soffiando sotto l'odio nella società turca».
L'islamofobia europea e la cristianità che odia l'islam sono da sempre il cavallo di battaglia del sultano. Un bel miscuglio eterogeneo di ideologia e propaganda. «È un islamista devoto e impegnato, che vede non solo l'Occidente ma tutti i non musulmani come ostili alla sua ideologia religiosa», conferma Bozkurt. «Qualora ci fossero tendenze islamofobiche in tutto il mondo, Erdogan cercherebbe di esasperarle solo per aumentare il divario, per sovrapporre le false accuse contro la Nuova Zelanda in particolare e l'Occidente in generale».
Che il clima già teso sia stato esasperato proprio recentemente è provato dai cori che si sono levati durante i comizi elettorali. «Andiamo e distruggiamo l'Europa», così cantava la gente? «Sì, è verissimo. L'hanno fatto subito dopo che Erdogan ha mostrato il raccapricciante video dell'attacco alla moschea da schermi giganti nella piazza». Bozkurt si sofferma sull'argomento per aggiungere che questo è lo stesso Paese in cui «ogni settimana, l'agenzia di stampa statale fa circolare la mia foto in stile wanted del selvaggio West. Se tornassi a casa, in Turchia, sarei arrestato o verrei ucciso».
Da quando Erdogan è presidente, la Turchia è «diventata un regime autocratico in cui un uomo solo è responsabile e tiene i fili. Le istituzioni laiche repubblicane non sono riuscite a contenere la trasformazione della democrazia parlamentare in una dittatura. L'ideologia dell'islamismo ha iniziato a dettare le mosse politiche del governo». Il che è talmente vero che l'islamismo del sultano ha preso di mira soprattutto le nuove generazioni. L'islamizzazione dell'istruzione scolastica, secondo Bozkurt, si spiega perché Erdogan si vede «califfo e leader di tutti i musulmani e quindi intende crescere una nuova generazione di giovani islamisti sia in Turchia sia all'estero. Ha bisogno di gente che quando vuole, si mobiliti per lui. E ha bisogno che siano educati da giovanissimi».
L'islam in Turchia è molto più di una religione. E sebbene la Costituzione turca protegga tutti i tipi di libertà, compresa la libertà di riunione, fede ed espressione, è qualcosa che resta solo sulla carta. Basti pensare che il presidente ha conquistato il potere per la prima volta con una promessa: eliminare l'obbligo di rimuovere il velo negli spazi pubblici. Qualcosa di talmente importante da essere utilizzato ancora oggi per intimidire l'opposizione. Erdogan continua a ripetere che le politiche avversarie porteranno l'orologio indietro addirittura a quando il velo andava tolto. «Usa il divieto per intimidire e per spostare l'attenzione», ma non solo.
Rientra tutto in un progetto più grande. Nel 2002 prima dell'ascesa al potere erano tre i principali obiettivi: il velo islamico, la fine delle restrizioni imposte alle scuole religiose imam-hatip e Santa Sofia riconvertita in una moschea.
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