Esplode la rabbia dei lavoratori: blocco stradale, cassonetti in fiamme

Esplode la rabbia dei lavoratori: blocco stradale, cassonetti in fiamme

(...) il piano industriale che prevede una radicale ristrutturazione e 2551 esuberi a livello nazionale. Circa 500 persone si radunano all’ingresso del cantiere e invadono la sede stradale in via Soliman e via Merano. Ma analoghe manifestazioni si verificano in contemporanea anche negli altri sette stabilimenti in Italia. Il traffico è immediatamente bloccato, mentre si fa spasmodica l’attesa di notizie precise dalla capitale dopo le prime, drammatiche ( e sommarie) informazioni che parlano della chiusura di Sestri Ponente. Il drastico provvedimento - della durata di tre anni, per consentire, a giudizio dei vertici di Fincantieri, le operazioni di «ribaltamento a mare» - non dovrebbe causare licenziamenti, ma limitarsi a trasferimenti di lavoratori da un cantiere all’altro. In particolare, l’azienda ribadisce che non è un piano «prendere o lasciare, ma la fotografia realistica di una situazione drammatica, attualmente e in prospettiva. L’auspicio è che la il progetto possa aggregare il più ampio consenso possibile». Eppure la reazione di lavoratori e sindacati, oltre che dei rappresentanti istituzionali e dei partiti, in un ampio ventaglio trasversale, dal centrosinistra al centrodestra, è di tutt’altro tono: il piano industriale, così com’è concepito, non è accettabile. Solidarietà assoluta, pertanto, con i dipendenti.
E poco importa la considerazione - del resto, sotto gli occhi di tutti - che sia in atto il crollo verticale delle commesse nel settore della cantieristica. E poco importa che i lavoratori italiani del settore lavorino in media 1300 ore all’anno contro le 1800 ore dei colleghi di altri Paesi... E poco importa che ci sia l’impegno della Fincantieri - questo sì, da pretendere che sia mantenuto, assolutamente - a non procedere a licenziamenti, ma a trasferimenti di sede (ad esempio, in Liguria, da Sestri o Riva Trigoso a Muggiano), in attesa dell’auspicata e auspicabile ripresa del mercato. E poco importa che tutti coloro che oggi si schierano in difesa dei dipendenti, non manifestino, né abbiano mai manifestato altrettanta energia e capacità nel portare direttamente commesse, cioè navi, cioè lavoro, cioè soldi (quei soldi che vengono dalla produzione, non quelli che vengono dai finanziamenti pubblici!). E poco importa che, nell’encomiabile sforzo di apparire «politicamente corretti», molti - in perfetta buona fede, per carità! - esauriscano il proprio potere e il proprio ruolo, istituzionale o sindacale, nel professare discorsi aulici e solidaristici, piuttosto che elaborare e presentare «urbi et orbi» - non solo promettere - piani industriali alternativi, magari anche cento, mille volte migliori di quelli presentati ieri dall’amministratore delegato di Fincantieri, Giuseppe Bono. Basterebbe questo per dimostrare - anche e soprattutto ai lavoratori che temono giustamente per il posto di lavoro - la voglia e la capacità di invertire la tendenza.

Che oggi, per domani e per dopodomani, può anche significare riconversione produttiva: riparare le navi che ci sono già, se nuove navi non vengono ordinate. E realizzare quel benedetto «ribaltamento a mare», senza aver paura che, «maniman, Bono ci abbia la sua convenienza»...

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