Possiamo accettare che la Cina priva di democrazia e di ordine economico-finanziario possa diventare il centro del mercato globale e, in prospettiva, la principale potenza militare del pianeta? I «realisti pragmatici» in Europa ed America sostengono che sarà inevitabile, che la Cina è ormai troppo grande per essere condizionata e che bisogna adeguarsi. Io sento, invece, che sarebbe giusta una posizione di «realismo strategico»: prendere il rischio ora, fino a che si è in tempo, di costringere Pechino a democratizzarsi e a darsi un ordine interno credibile per minimizzare il pericolo futuro o di una sua implosione con catastrofico impatto globale o di una sua dominanza geopolitica inaccettabile sul piano degli standard occidentali.
Lo spunto di cronaca per queste parole non è solo la prima manifestazione con la presenza di giornalisti occidentali contro la repressione della libertà in Cina, ma il fatto che i protagonisti abbiano dichiarato di non voler boicottare le Olimpiadi di Pechino nel 2008. Tale atteggiamento esemplifica la posizione occidentale: pressione a parole, ma non nei fatti. Fu lo stesso tenuto da Clinton a metà degli anni '90 quando concesse alla Cina l'accesso al mercato globale chiedendo in cambio garanzie solo nominali di non aggressività, trasparenza e graduale democratizzazione. Tale generosità fece sospettare uno scambio opaco sottostante, ma in realtà prevalse in Clinton l'idea che lo sviluppo economico avrebbe portato quasi automaticamente le libertà civili e gli standard occidentali nel sistema cinese. Dopo dieci anni la realtà è ben diversa. Il Partito comunista cinese non concede alcuna libertà politica, pur lasciando quella economica, e chi la invoca viene messo nei campi di concentramento. Lo sviluppo cinese è sia drogato sia privo di meccanismi di bilanciamento. Affamata di energia Pechino, sta trasformando da regionali a globali i propri interessi di politica estera, ma è inaccettabile che proponga a decine di dittatori protezione contro i condizionamenti occidentali democratizzanti in cambio di petrolio e materie prime. In sintesi, la «questione cinese» ci pone due problemi: a) o la sua economia implode per eccesso di disordine creando una depressione globale perché ormai è il primo mercato mondiale; b) se non va in crisi ci troveremo comunque alle prese con una superpotenza aggressiva antidemocratica e antioccidentale. Le élite cinesi fanno di tutto per dimostrare che tali scenari sono ingiustificati. Ma se hanno fatto fesso Clinton non pensino di riuscirci una seconda volta. Il riarmo, l'uso strategico incentivante-ricattatorio degli enormi capitali cumulati, la corruzione, lo sviluppo senza basi solide, il mancato rispetto delle regole per partecipare al sistema globale, la repressione interna e l'aggressività esterna mostrano il vero volto della Cina. Per questo mi sono chiesto se è proprio vero che la Cina sia ormai troppo grossa e potente per essere condizionata. E la risposta è che se America ed Europa si unissero in un'azione comune, allora l'Occidente sarebbe ancora sufficientemente forte per regolarla (vedi www.lagrandealleanza.it).
Carlo Pelanda
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