IN ATTESA DI FATTI Dopo tante anticipazioni andate deluse, sarebbe un primo cambiamento

Fino a ieri la montagna non aveva partorito neppure il classico topolino. A 48 ore dal termine di quel «Terzo Plenum» del Partito destinato secondo gli ottimisti a sfornare riforme e cambiare il volto della Cina comunista qualcosa, però, si muove. O almeno viene annunciato. In assenza di comunicati ufficiali è l'agenzia Nuova Cina ad anticipare cambiamenti capaci di lenire piaghe odiose come la «legge sul figlio unico» o la vergogna dei laogai, i campi di lavoro dove detenuti «comuni» e «politici» sfruttati alla stregua di schiavi vengono messi a servizio delle aziende private o di Stato o di ridurre il ricorso alla pena di morte. Ma sarà vero cambiamento? Qualche dubbio c'è. Il primo elemento sospetto è quell'intervallo di due giorni. Perché il presidente Xi Jinping e i 376 membri del Comitato Centrale hanno atteso così a lungo prima di ufficializzare la riforma di una legge e di un sistema di detenzione considerati i simboli della brutalità autoritaria del regime? La prima ipotesi è quella di uno scontro interno tra i riformisti moderati e i conservatori, presenti in buon numero anche tra le fila dei fedelissimi del presidente Xi. Lo scontro minaccia di rallentare riforme altrettanto cruciali come la progressiva apertura dell'economia ai privati, la convertibilità dello yuan e la cancellazione delle regole degli hukou, i permessi di residenza, che privano di ogni diritto chi lascia le campagne precludendo la mobilità sociale e aggravando il malcontento della popolazione rurale.
Su questi punti, tanto attesi, l'agenzia Nuova Cina non fornisce dettagli concentrando l'attenzione sulle più popolari riforme in materia di figlio unico e laogai. Chi s'aspettava cambiamenti radicali deve, però, ricredersi. Gli unici a poter mettere al mondo più di un figlio saranno i genitori senza fratelli, ovvero gli eredi delle famiglie che in questi trent'anni hanno rispettato le regole. È già qualcosa, ma molti si chiedono se questo bloccherà i devastanti effetti di una legge considerata - dopo i 336 milioni di aborti e le 196 milioni di sterilizzazioni degli ultimi trent'anni - la prima causa del tasso di senescenza di una società dove gli ultrasessantenni sono passati dal 10,3 al 13,3 per cento mentre la popolazione sotto i 14 anni è declinata dal 23 al 17 per cento.
In queste condizioni la Cina rischia di dover importare braccia giovani dall'estero rischiando una brusca impennata del costo del lavoro e un'imprevista recessione. Ma anche la sproporzione tra il numero dei figli maschi quello delle figlie femmina non è da sottovalutare. A dar retta ai demografi già oggi un quinto dei cinesi avrebbe difficoltà a trovar moglie con conseguenze potenzialmente destabilizzanti.
Anche l'annunciata abolizione dei laogai - i campi di lavoro basati sul concetto maoista dell'«educazione attraverso il lavoro» va accolta senza eccessi d'entusiasmo. Il regime ha sempre mantenuto il segreto più assoluto su questi autentici lager dove - stando ai dati della «Laogai Research Foundation» del dissidente cinese Harry Wu - sono tenuti prigionieri oltre 6 milioni di detenuti schiavi usati per mandar avanti oltre un migliaio di complessi industriali. In assenza di numeri precisi sulle strutture esistenti nessuno saprà mai se - e in quale misura - l'istituzione penale dei laogai sia stata veramente abolita. Nel caso di una loro totale cancellazione resta da chiedersi come farà il sistema a sostituire una forza lavoro di oltre sei milioni di tecnici e operai in grado di garantire servizi a costo zero per le aziende.

L'unica via per compensare con lo sviluppo l'inevitabile spareggio dei conti sarebbe quella della privatizzazione.
Ma su questo tema neppure il tanto atteso Terzo Plenum sembra esser riuscito a superare, almeno per ora, la rigida ortodossia maoista.

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