Dopo averne negato per anni l'esistenza, pochi giorni fa Pechino ha annunciato l'intenzione di chiudere i campi di lavoro forzato, i tristemente famosi "laboratori per la rieducazione", dove si calcola siano passati circa 50 milioni di persone. La Cina può fare a meno dei Laogai: troppo forte il danno d'immagine (non possono essere più nascosti o ignorati) e il regime, tra l'altro, dispone di altri strumenti di controllo e repressione, senza che il mondo libero possa puntare il dito minacciando sanzioni.
Oggi si registra un'altra "apertura": la Corte Suprema cinese ha affermato che l’uso della tortura per ottenere confessioni "deve essere eliminato". Sul proprio sito web la Corte scrive che "gli interrogatori basati sulla tortura per ottenere confessioni, l’uso del freddo, della fame, delle bruciature, dell’affaticamento e di altri mezzi illegali per estrarre confessioni agli accusati, devono essere eliminati". Pochi giorni fa erano state annunciate altre riforme, tra cui la limitazione dei reati per i quali può essere comminata la pena di morte.
Secondo i gruppi per la difesa dei diritti umani la polizia cinese fa largo uso della tortura per ottenere le confessioni, che hanno un ruolo centrale nel sistema giudiziario.
Lo scorso settembre sei funzionari degli organi disciplinari del Partito comunista cinese, che disponde di sistema giudiziario interno, sono stati accusati di aver provocato la morte di un indagato immergendogli ripetutamente la testa nell’acqua gelata. Cambierà davvero qualcosa o è solo un'astuta operazione di marketing?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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