Ultimo flop degli scienziati che hanno preso il Nobel

L'Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche, scelta quest'anno dai "saggi" norvegesi per l'assegnazione del premio, si rivela sempre più pigra e pasticciona

A conti fatti il Nobel per la pace era meglio darlo a Vladimir Putin. Certo i compassati membri del Comitato di Oslo avrebbero avuto qualche difficoltà a giustificare i meriti del presidente russo nel promuovere la «fraternità tra i popoli» primo requisito per l'assegnazione premio. Se però avessero prestato un po' più d'attenzione al requisito numero due, ovvero il contributo alla «riduzione degli armamenti esistenti», allora Vladimir ne sarebbe uscito alla grande. Di certo fin qui ha fatto assai di più, e assai meglio, di quei pigri e pasticcioni dell'Opac, l'Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche scelta quest'anno dai «saggi» norvegesi per l'assegnazione del premio.
A Putin, e solo a Putin, si deve l'accordo internazionale che ha portato Bashar Assad a garantire, lo scorso settembre, la distruzione del suo arsenale chimico siriano. Fino a quel momento il ruolo dell'organizzazione premiata e incensata dal comitato norvegese era stato assolutamente inesistente. Senza quell'accordo, servito su un piatto d'argento da Zar Vladimir, i 500 stipendiati dello staff dell'Opac avrebbero continuato a far la muffa nella sede dell'Aia e a mangiarsi i 71 milioni di euro messigli a disposizione ogni anno da 190 stati membri. Italia compresa. Ma il problema più serio è che continuano a non concludere nulla anche dopo aver ricevuto la pappa pronta da Mosca e il Nobel da Oslo. Le difficoltà incontrata nel reperire un luogo dove smaltire i componenti di quelle armi chimiche che la stessa Opac è pagata per eliminare sarebbe comica se non fosse scandalosa. Ma è perfettamente in linea con i requisiti e i meriti di un baraccone inutile e dispendioso messo insieme sulla base di fumosi accordi internazionali.
Per capire come sarebbe andata a finire bastava, del resto, guardare ai trascorsi dell'Opac. In 16 anni di vita l'organizzazione chiamata a difendere il mondo dai rischi della proliferazione delle armi chimiche o batteriologiche non ha esercitato una sola ispezione in qualcuna delle nazioni sospettate di produrre questo tipo di armi. E fino allo scorso settembre non aveva neppure messo piede in Siria. Anche perché le ispezioni sono riservate ai soli paesi membri. Da quando c'è arrivata, in compenso, non sembra aver tirato fuori un ragno dal buco. Tra le altre cose si è anche scordata di sottolineare un dettaglio non proprio insignificante. Tra le 20 tonnellate di «agenti chimici pronti per uso militare» ritrovati dai suoi operatori (a fronte di altri 1300 tonnellate di componenti chimici non miscelati) non vi sarebbe traccia di gas «sarin».

Dai depositi siriani ispezionati e svuotati dall'Opac non è saltato fuori insomma il gas usato per mettere a segno quel nefasto attacco del 21 agosto per cui la Siria rischiava di subire la rappresaglia minacciata da Obama. Ma se la Siria non lo possiede come avrebbe fatto ad usarlo? Questo fin qui nessuno sembra disposto a spiegarcelo.

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