Ecco la nuova guerra fredda: Assad fa litigare Usa e Russia

Damasco pedina fondamentale tra le due potenze. Washington propone l’esilio del dittatore, Mosca replica bloccando la condanna per i massacri

Ecco la nuova guerra fredda: Assad fa litigare Usa e Russia

A Washington la chiamano con il nome russo di «Yemenskii Variant» e fingono di crederci. Non a caso dopo la strage di Hula - definita da Barack Obama «vile testamento di un regime illegittimo» - la Casa Bianca ha lanciato una richiesta d’esilio per Bashar Assad incentrata proprio sulla «variante yemenita».
L’esotico riferimento ricorda l’accordo con il Cremlino per la sostituzione del presidente yemenita Abdallah Saleh con il suo vice Abdu Rabbu Mansour Hadi. La strategia ufficiale della Casa Bianca sulla Siria punta dunque su un’intesa simile. Un’intesa da discutere a giugno nel primo incontro con un Vladimir Putin dopo il suo ritorno al Cremlino. A dar retta a Washington un accordo con Mosca garantirebbe non solo l’uscita di scena di Bashar Assad, ma anche la stabilità del paese grazie alla nomina di un successore interno al regime. Il primo ostacolo alla «variante siriana» è, però, la mancanza di «feeling» tra Obama e Putin.
Durante le presidenziali il leader russo ha più volte denunciato i piani americani contro di lui e si è ben guardato - una volta riconquistato il Cremlino - dal partecipare al G8 in terra americana. Ma lo spigoloso rapporto Putin- Obama è solo una delle dimensioni della nuova «guerra fredda». Una contrapposizione che spazia dalla contesa sull’Artico a quella energetica, dallo scontro sullo scudo antimissile alla questione mediorientale. In questo contesto la Siria è una prima linea cruciale perché garantisce l’ultima residua influenza russa nel complesso «risiko» mediorientale. Un «risiko» in cui Mosca punta non solo a ridimensionare l’influenza di Washington, ma anche a bilanciare l’ascendente di Teheran, vero «dominus» del clan degli Assad. La deposizione di Bashar Assad, come Mosca sa bene, equivarrebbe ad accelerare la guerra civile accentuando i rischi d’un intervento diretto iraniano. Ma non solo. Per il Cremlino l’alleanza con Damasco significa libertà d’attracco alla base militare di Tartus, ovvero all’ultimo approdo in grado di garantire la presenza della marina militare russa nel Mediterraneo. Il terzo elemento portante dell’asse Mosca Damasco è economico.
A Tartus sta per attraccare la Professor Katsman, una nave da 5000 tonnellate battente bandiera maltese salpata il 6 maggio da un porto russo. Il suo carico d’armi è l’ultima di una serie di forniture pagate in contanti che frutta milioni di euro all’industria bellica russa. Certo vedersi associati ad un Bashar Assad trasformato nell’icona della tirannia più spietata non è un bel biglietto da visita per il Cremlino. Ma Vladimir Putin non è Dmitry Mevdedev. Il sì concesso a Stati Uniti e Francia in occasione della risoluzione Onu che garantì la liquidazione di Gheddafi è uno dei principali passi falsi rimproverati all’apprendista Dmitry Medvedev. E Putin non intende certo ripeterlo. Non a caso ieri la Russia ha immediatamente bloccato la risoluzione di condanna sulla strage di Hula appoggiata da Washington e presentata durante la convocazione straordinaria del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Ma la proposta di gestire un’uscita di scena concordata di Bashar Assad è, dal punto di vista russo, anche assai ambigua. Come Mosca sa bene sulla scrivania di Obama c’è già un piano che prevede la fornitura diretta di armi e munizioni ai ribelli. Qatar, Arabia Saudita e Turchia già ci lavorano. Dalla fine di aprile grossi quantitativi di kalashnikov, esplosivi, razzi anticarro Rpg e munizioni transitano da Idlib al confine turco e da Zabadani alla frontiera libanese. Già ora gli Stati Uniti usano gli stessi canali per garantire, attraverso uno schema simile a quello libico, la fornitura di attrezzature altrettanto essenziali come sistemi di comunicazioni, medicinali e viveri. Grazie a questi aiuti e alla tregua garantita dall’Onu le fazioni dei Fratelli Musulmani hanno potuto riprendersi dalla batosta subita a marzo e riprendere a colpire.
L’orrore di venerdì a Hula è solo l’ultimo di un susseguirsi di attacchi ribelli e rappresaglie governative innescato dalle nuove forniture e suggellato, il 15 maggio scorso, dal massacro di 23 soldati governativi nella cittadina di Rastam.

Ma mentre i massacri governativi, certificati dai caschi blu, promettono di accelerare la fine di Bashar Assad le efferatezze di una compagine ribelle in cui operano - per ammissione americana - varie formazioni al qaidiste non vengono, né segnalate né condannate. Per questo Zar Vladimir ha già deciso, sulla Siria la linea è obbligata e ogni variante è solo un regalo ad Obama.

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