Erdogan a un passo dalla guerra: via libera alle azioni militari

Erdogan a un passo dalla guerra: via libera alle azioni militari

Non è ancora guerra, ma poco ci manca. Recep Tayyip Erdogan l'annusa, la cerca, la rincorre. E cerca di tirarsi dietro la Nato. L'ultimo balzo l'ha compiuto ieri. Mentre l'artiglieria turca bersagliava per il secondo giorno consecutivo le truppe siriane il Parlamento di Ankara votava la mozione del premier turco che dà il via libera alle operazioni militari sul territorio di Damasco. Ad Ankara per ora si guardano bene dal chiamarla guerra. Nella sua mozione Erdogan invita ad agire per evitare che la crisi siriana metta a rischio la sicurezza della Turchia e dice di «non voler iniziare una guerra con la Siria». Per il suo vice Besir Atalay i bombardamenti, costati la vita di almeno cinque soldati siriani, sono semplici operazioni preventive e il decreto del Parlamento ha soltanto «funzioni deterrenti».
Ma il dado è tratto. Usando come pretesto l'uccisione delle cinque donne turche dilaniate da un colpo di mortaio siriano caduto mercoledì sul villaggio di frontiera di Akçakale, Erdogan crea le premesse per l'intervento. Il premier turco non vuole però andare alla guerra da solo. Né si accontenta della solidarietà di Arabia Saudita e Qatar, i due Paesi che garantiscono assieme ad Ankara sostegno militare ai ribelli in lotta contro Bashar Assad. Anche perché i due apparenti alleati sono in verità concorrenti nella lotta per l'egemonia in Medio Oriente. Molto meglio tirarsi dietro la Nato. Non a caso prima di far votare l'intervento ai suoi deputati il premier chiede il sostegno politico dell'Alleanza Atlantica. Un sostegno nuovamente concesso sulla base dell'articolo 4 del patto Nato. Quel sostegno a sentire il nostro ministro degli Esteri, Giulio Maria Terzi, uno dei più zelanti nel sostenere la Turchia, potrebbe spingersi anche più in là. «Anche nel Consiglio Nato di questa notte - sottolinea Terzi - è stato riaffermato il principio della indivisibilità della sicurezza, al quale i membri dell'Alleanza tengono molto». Dietro l'«indivisibilità della sicurezza» qualcuno legge l'ipotesi di un sostegno militare esplicito. Ma l'entusiasmo filo turco di Terzi non è probabilmente condiviso da tutti gli alleati.
Anche perché la guerra anti siriana sognata dal premier turco sembra priva, per ora, di motivazioni convincenti. Sul piano politico la Siria ha già presentato le scuse per il colpo di mortaio costato cinque vite, garantendo all'Onu che «incidenti del genere non si ripeteranno». E sempre sul piano politico è anche difficile ignorare la strage di 40 siriani dilaniati lo stesso mercoledì da un'autobomba esplosa nella piazza principale di Aleppo. Una bomba rivendicata da quegli estremisti islamici che Ankara lascia liberamente transitare dai propri territori a quelli siriani. Estremisti che pur lottando contro il regime di Damasco sembrano molto lontani dagli ideali di democrazia e libertà e ricordano, piuttosto, il fanatismo delle bande integraliste responsabili dell'uccisione dell'ambasciatore americano a Bengasi o degli assalti anti occidentali di Tunisi. In questa situazione c'è da chiedersi se la Nato voglia veramente imbarcarsi in un avventura dalle conseguenze molto più imprevedibili di quella libica. O se intenda farlo il presidente statunitense Barack Obama, concentrato per ora nella corsa per la rielezione. Una prima risposta la offre l'agenda del vertice Nato di Bruxelles del 9 e 10 ottobre. Un vertice in cui non compare alcun riferimento, per ora, alla crisi siriana. Anche perché la Nato continua a dover fare i conti con Mosca e Pechino, prontissime a usare il diritto di veto per bloccare qualsiasi mozione interventista presentata al Consiglio di Sicurezza.
In questo contesto l'apprendista stregone Erdogan rischia di esser il primo a subire le conseguenze del suo risiko. Mentre Washington e l'Europa possono permettersi di aspettare, il premier turco si ritrova a fronteggiare il ritorno del Pkk. Il partito combattente curdo, nemico giurato di Ankara, ha già approfittato della crisi siriana per trasferire le proprie basi sui territori al confine turco abbandonati dall'esercito di Damasco. E da lì ha ripreso a colpire minando la sicurezza delle regioni sud orientali turche, ma anche la credibilità del premier.

Per la prima volta nella storia della sua irresistibile ascesa, Erdogan si ritrova a fare i conti con un 62 per cento dell'elettorato che disapprova apertamente l'interventismo anti siriano. Per l'uomo che sogna di far crollare il regime di Damasco e rinverdire i fasti ottomani in Medio Oriente non sembra una grande esordio.

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