Massacro continuo Il premier è un ottantenne

Un tempo era la Milano di Siria, il polmone finanziario e commerciale del Paese. Oggi è il magnete di tutti i fanatici pronti a morire nel nome del jihad, la guerra santa. Attorno ad Aleppo dove si combatte una partita decisiva per la sopravvivenza o la caduta del regime di Bashar Assad si sta concentrando il peggio dell'internazionale jihadista, centinaia o forse migliaia di estremisti provenienti non solo dal vicino Iraq, ma anche da Cecenia, Pakistan ed Europa. A confermarlo arriva la testimonianza del fotografo olandese Jeroen Oerlemans rapito assieme al collega britannico John Cantille mentre puntava su Aleppo dopo esser entrato in Siria dalla frontiera turca: «Erano un centinaio dicevano d'arrivare dal Pakistan, dal Bangladesh e dalla Cecenia e di prendere ordini da un emiro, ma almeno un terzo di loro parlava inglese con l'accento di Londra o Birmingham. Continuavano a ripetere che dopo la caduta di Assad introdurranno la sharia in tutta la Siria» racconta Oerlemans che prima di essere liberato si è preso due proiettili nelle gambe durante un tentativo di fuga. Anche nel resto della Siria i militanti al qaidisti combattono a fianco di quell'Els (Esercito Libero di Siria) considerato alla stregua di un prezioso alleato da Francia e Usa. «Le istruzioni dei nostri capi di Al Qaida sono chiare se l'Els ha bisogno di aiuto dobbiamo fornirglielo. Li appoggiamo mettendo a loro disposizione autobombe e trappole esplosive» racconta Abu Kuhuder, capo di un gruppo al qaidista incontrato nei dintorni della città di Mohassen da Gaith Abdul Ahad, inviato di lingua araba del Guardian di Londra.
Una situazione molto simile a quella del fronte di Aleppo dove i video provenienti dalle aree più calde del fronte riprendono gruppi di militanti che combattono al grido «Allah Akbar». La tenacia di queste formazioni pronte al martirio spiega perché dopo quattro giorni d'intensi combattimenti le truppe governative non siano ancora riuscite a riprendere il controllo di molti dei quartieri nord orientali e sud occidentali controllati dalle milizie anti governative. Ieri l'Esl affermava d'esser presente in otto quartieri della città. Damasco rivendica invece il controllo dell'80% dell'agglomerato urbano. L'unica certezza è il dramma dei civili intrappolati tra due fuochi e senza più acqua e cibo. Sul fronte internazionale la coalizione anti-Assad guidata da Washington e Parigi, con l'appoggio di Arabia Saudita, Qatar e Turchia, continua le manovre per accelerare la fine del regime. Ieri l'81enne Haytham al-Maleh, figura storica dell'opposizione, ha detto di aver avuto l'incarico di formare un governo provvisorio al Cairo. Lunedì notte il premier turco Recep Tayyip Erdogan ha discusso con Obama «gli sforzi per accelerare la transizione politica in Siria». La Francia, da oggi presidente di turno del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, vuole invece usare la propria influenza per superare i veti di Russia e Cina e far approvare una risoluzione in grado di favorire l'intervento internazionale. L'addio di Assad non è comunque vicino.

Come ha confermato il ministro degli esteri italiani Giulio Terzi il presidente siriano non è assolutamente disposto ad accettare le garanzie internazionali che gli consentirebbero d'ottenere un salvacondotto e rifugiarsi all'estero con la famiglia.

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