Alla fine il presidente Morsi ha scelto il pugno di ferro: un mese di stato di emergenza a Port Said, Suez e Ismailiya, le città teatro di gravi scontri che in tre giorni hanno provocato quasi 50 morti e oltre 600 feriti. In migliaia ieri hanno partecipato a Port Said, sul canale di Suez, ai funerali delle 33 persone morte negli scontri di sabato, nella stessa città. I corpi delle vittime, avvolti in sudari bianchi e adagiati in bare scoperchiate, sono stati portati dalla folla in corteo nel centro. Presto però sono scoppiate violenze in cui hanno perso la vita almeno quattro persone, secondo fonti mediche locali uccise da proiettili.
I testimoni raccontano del rumore di colpi di arma da fuoco di cui non si riusciva a capire la provenienza, della nebbia dei gas lacrimogeni sparati dalle forze di sicurezza. Diversi posti di polizia ed edifici delle forze dell'ordine sono stati assaliti dalla folla, furiosa contro il ministero dell'Interno che accusa per le morti di ieri e contro il governo per la sentenza di sabato di un tribunale del Cairo. I giudici hanno condannato a morte in primo grado 21 imputati per la strage di febbraio allo stadio di Port Said quando in scontri tra le tifoserie della squadra locale e dell'Ahly, club del Cairo, sono rimaste uccise oltre 70 persone.
Sabato, dopo il verdetto, i tifosi dell'Ahly hanno festeggiato al Cairo, mentre centinaia di abitanti di Port Said - città dalla quale proviene la maggior parte dei condannati - sono scesi in strada scatenando la propria rabbia contro la polizia e i suoi simboli.
Non soltanto il calcio ha un ruolo negli scontri, ma anche la politica. Sia i fan della squadra di Port Said, al Masry, sia quelli del club cairota al Ahly covano rabbia contro il ministero dell'Interno. Gli ultras Ahlawy, infatti, hanno partecipato attivamente ma con violenza alle manifestazioni del 2011 e del 2012, soprattutto contro la giunta militare. Secondo molti di loro, intervistati dalle tv sabato davanti al loro club, la strage di febbraio - la maggior parte delle vittime faceva parte di quella tifoseria - sarebbe stata orchestrata contro di loro per il loro ruolo destabilizzante nelle proteste.
Dall'altra parte, gli abitanti di Port Said vedono nella sentenza un atto contro l'intera città, una mossa politica per calmare le minacce degli ultras cairoti contro le autorità e accusano la magistratura di non aver condannato nove ufficiali di polizia, imputati per la stessa strage e che aspettano un verdetto a marzo. «La città è stata colpita dal ministero dell'Interno», ha gridato la folla ai funerali scandendo slogan contro il governo e il presidente Mohammed Morsi.
In questi giorni di violenze, il nuovo potere ha dimostrato incapacità di controllare la situazione. Sia a Port Said sia nella vicina Suez, dove venerdì nel secondo anniversario della rivoluzione del 2011 sono morte otto persone, la polizia ha lasciato le strade e le autorità hanno dovuto inviare l'esercito. Ci sono stati scontri anche al Cairo.
Il presidente Morsi è stato accusato di assenteismo. Il leader si trova davanti a un Paese spaccato e a una situazione economica critica, con la lira egiziana in caduta libera.
In serata, quando Morsi ha preso la parola, ha scelto sì la linea dura («se la situazione non tornerà alla tranquillità, non esiterò ad adottare altre misure per il bene dell'Egitto») ma ha anche offerto un ramoscello d'ulivo, non si sa quanto sincero, all'opposizione, includendola in un confronto convocato per oggi sulla crisi in cui sta precipitando il Paese.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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