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Ultimatum dei russi alle basi ucraine che non si arrendono, poi smentito, mentre la fetta orientale del Paese, filo Mosca, esplode. Scene da 8 settembre nel quartier generale della guardia di frontiera a Simferopoli, capitale della Crimea e minoranza tartara che implora «la protezione internazionale dall'occupazione russa».
Alexander Vitko, comandante della flotta russa del Mar Nero, avrebbe lanciato ieri un ultimatum ai militari ucraini, che ancora non si arrendono in Crimea. Entro le 5 di oggi le basi che resistono, forse una decina, devono consegnare le armi altrimenti rischiano l'assalto. Lo ha rivelato il ministero della Difesa di Kiev, ma in realtà i russi intimano ogni giorno alle caserme circondate di arrendersi. Poche ore dopo Mosca avrebbe smentito la notizia secondo la Bbc.
A Simferopoli, la capitale della penisola, i russi hanno bloccato con grossi camion militari gli ingressi del quartier generale delle guardie di frontiera, che ancora resistono in alcune zone della penisola. All'interno va in scena l'8 settembre della Crimea. Un giovane ufficiale in mimetica ha lo sguardo disperato. «Non potrei neppure parlare, ma la situazione è tesissima - spiega con i nervi a fior di pelle -. Le truppe russe sono dentro e non sappiamo cosa dobbiamo fare». Altri militari stanno scappando vestiti in borghese, ma si portano via i giubbotti antiproiettile. Il colonnello Andreas Basan è passato con i filo russi e dichiara tranquillo: «Le comunicazioni con Kiev sono interrotte. Rispondiamo agli ordini del potere locale».
La minoranza tartara (15% della popolazione) è terrorizzata dall'arrivo dei soldati russi senza mostrine ed insegne. Nel sobborgo della capitale, Belo 2, ogni notte fino alle sei del mattino gli uomini pattugliano l'area per timore di rappresaglie dei filo russi. (guarda la foto). I tartari sono stati decimati da Stalin con la deportazione nel 1944 e vedono Mosca come il diavolo. «Vi imploro, abbiamo paura, la comunità internazionale deve proteggerci dall'occupazione russa oppure finiremo come nell'ex Jugoslavia» dichiara Zarema Sultanova. Tutt'attorno bambini, donne, uomini, anziani, che mostrano la bandiera azzurra dei tartari. (guarda il video)
Bakchisaray, 25 chilometri a sud della capitale, è una roccaforte della minoranza, un terzo dei 30mila abitanti. La base dei militari ucraini è assediata dai russi (guarda la gallery), ma delle giovani e coraggiose ragazze tartare si fanno strada fra i bestioni in mimetica verde e volto mascherato. «Portiamo palloncini, arance, biscotti ai nostri soldati per allentare la tensione» spiega Elvina con dei profondi occhi azzurri (guarda la foto). Sulla possibilità di secessione della Crimea non ha dubbi: «Se qualcuno vuole la Russia gli compriamo un biglietto di sola andata per Mosca». (guarda il video)
Elmar e Rustam sono due ragazzotti che hanno partecipato agli scontri davanti al Parlamento locale con i filo russi, la scorsa settimana, scintilla per la reazione di Mosca. «Abbiamo gridato Gloria all'Ucraina e Allah o akbar perché siamo dalla parte dei rivoluzionari, ma non dei terroristi islamici. Vogliamo solo la rinascita dei tartari in Crimea» spiegano i giovani, che di notte pattugliano i loro quartieri.
In giro si vede qualche barbuto fondamentalista, ma la maggioranza dei tartari non vuole scatenare la guerra santa. «Boicotteremo il referendum che porterà la Crimea fra le braccia della Russia. Per noi è impensabile, ma non abbiamo un altro posto dove andare» spiega Femi Umarov, un omaccione con le lacrime agli occhi.
La crisi in Crimea si sta espandendo ad altre città chiave dell'Ucraina. A Odessa filorussi e pro Maidan si sono scontrati a colpi di spranga. Il governo regionale ha respinto la richiesta di un referendum sulla maggiore autonomia, anticamera della secessione. A Donetsk, ex feudo del presidente deposto Viktor Yanukovich, è esplosa la rivolta filo russa. Sul palazzo del governo regionale occupato hanno issato la bandiera di Mosca. Pavel Gubarev, comandante della milizia del Donbass, dichiara di «aver preso il potere». Il Parlamento ha indetto lo stesso referendum della Crimea per unirsi alla madre Russia.
Il premier ucraino, Arseny Yatseniuk, tenta di gonfiare i muscoli: «Alle truppe russe non sarà permesso di fare irruzione nelle regioni orientali». Il Paese rischia di spaccarsi in due.
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