Orologi, scarpe e divise. È il museo di Ground Zero

Contiene centinaia di cimeli trovati tra le macerie delle Torri Gemelle. Obama commosso: "Un luogo sacro per guarire, niente ci può spezzare"

Orologi, scarpe e divise. È il museo di Ground Zero

New York - La potenza della memoria è racchiusa nei simboli. Un fazzoletto rosso, indossato il giorno della sua morte da Welles Crowther, 24 anni, mentre portava in salvo, su e giù per le scale di una delle Torri Gemelle, decine di persone. I 38 scalini di Vesey Street, via di fuga per centinaia di uomini e donne. L'orologio mangiato dal fuoco e fermo a quell'11 settembre del 2001 di uno dei passeggeri del volo 93, schiantatosi in Pennsylvania. È di questi oggetti di vita quotidiana, della forza che rappresentano, della capacità di ripresa di una città e di una nazione che ha parlato ieri un Barack Obama commosso all'inaugurazione del museo dell'11/9, a New York, a Ground Zero. Ha parlato di «un luogo sacro di guarigione e speranza», d'«amore», «compassione», «sacrificio» il presidente davanti alle autorità, alle famiglie delle vittime, nella penombra di una sala in cui si trova un'enorme colonna in metallo: quello che rimane di una delle Torri. «Nessuno può spezzarci, cambiare quello che siamo», ha detto in un discorso seguito dalle parole dei governatori di New York e New Jersey, Andrew Cuomo e Chris Christie, del sindaco Bill de Blasio, dai racconti dei sopravvissuti. L'applauso più intenso è stato per quei pompieri e poliziotti che mentre migliaia di persone cercavano di lasciare le Torri colpite dagli aerei facevano il percorso inverso, per portare salvezza. E sono anche i loro distintivi ammaccati, i loro elmetti impolverati, assieme a carte di credito piegate, scarpe di donna trovate tra le macerie, voci, volti, la vita di quelle oltre 3.000 vittime a essere esposti nel museo che aprirà mercoledì.

«Nessun giorno potrà cancellarvi dalla memoria del tempo». L'Eneide di Virgilio è iscrizione all'interno del museo. Fuori c'è New York, che da 13 anni vive ogni giorno questa massima. La città porta con sé la memoria degli attacchi, onora le vittime con la costanza della vita quotidiana e non si ferma neppure a pochi passi dai ricordi carichi di dolore del nuovo museo: i turisti visitano Trinity Church, gli operai lavorano ai cantieri tra Broadway e Wall Street, neppure l'arrivo del presidente e l'imponente sistema di sicurezza hanno bloccato la metropolitana o cambiato il tragitto degli autobus. I cittadini e i turisti si dirigono poco lontano, al memoriale dell'11/9, inaugurato nel 2011.

Lì, ci sono i maxischermi per seguire la cerimonia. Passano davanti a un bassorilievo di metallo lungo un muro, con le figure di pompieri che spengono gli incendi delle Torri. Un passante lucida una scritta con un panno bianco: «May we never forget». «La memoria deve essere rafforzata», ci dice l'ex sergente di polizia in pensione Donald O'Connor, arrivato da San Francisco per visitare il memoriale oggi. «Sono qui per ricordare quello che è accaduto. Il nuovo museo rappresenta la capacità di ripresa del popolo americano».

Tom Sander l'11/9 abitava a pochi isolati dal World Trade Center. Oggi vive in Pennsylvania ed è qui per accompagnare la giovane nipote. Per lui il museo racconta come «non sia possibile farci del male: ci rimetteremo sempre in piedi».

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