Lugano - Niente salario minimo di 4.000 franchi lordi al mese (circa 3.250 euro) nella ricca e costosa Svizzera: il popolo, chiamato ieri alle urne anche per esprimersi sul fondo d'acquisto dei nuovi caccia bombardieri per l'esercito (bocciato), ha respinto in modo chiaro e netto l'iniziativa federale della sinistra, che chiedeva protezioni di salari equi per tutti indipendentemente dalla formazione del lavoratore, dal tipo di professione svolta e dalla regione dove la si esercita.
Una cifra, quella proposta (almeno 22 franchi all'ora) che, se accettata, sarebbe stata di gran lunga la più elevata del mondo, addirittura il doppio rispetto alla Germania (che introdurrà la misura nel 2017) e all'Austria e il 40% superiore alla Francia. Significativo il fatto che nessuno dei ventisei cantoni della Confederazione abbia accolto la proposta e che il «no» abbia superato addirittura il 76% a livello nazionale, con il Ticino allineato al 68%. In attesa dell'entrata in vigore dei contingenti, entro tre anni, dopo il clamoroso «sì» all'iniziativa contro l'immigrazione di massa dello scorso 9 febbraio, il cantone italofono temeva un'ulteriore invasione da sud, con il richiamo forte del «super salario». «Un regalo ai frontalieri» erano stati definiti da ambienti imprenditoriali i 4.000 franchi lordi mentre alcune aziende non avevano escluso la possibilità di delocalizzare. Se accolta, l'iniziativa della sinistra avrebbe interessato tutti i lavoratori, quindi anche gli stranieri residenti e, appunto, i sessantamila italiani che giornalmente varcano il confine per lavorare a Lugano e dintorni accontentandosi in molti casi di cifre inferiori alla mano d'opera locale: si stimava che il «super frontaliere» - come qualcuno già lo aveva ribattezzato - avrebbe visto la sua busta paga lievitare mediamente di 500-600 euro. Ma l'attuale contesto economico e sociale elvetico - reso più fragile dalle incertezze e dalle incognite verso il futuro prodotte dal già citato voto contro l'immigrazione di massa - ha consigliato al popolo di mantenere un sistema di retribuzione che si basa su un modello di partenariato sociale che negozia le condizioni di lavoro rispettando le differenze fra aziende, settori economici e regioni: un modello vincente, che in quasi ottant'anni ha contribuito al benessere del paese.
La Svizzera vanta oggi un tasso di disoccupazione tra i più bassi in assoluto (3,2%) e un salario mediano che varia dai 5.091 franchi del Ticino ai 6.450 di Zurigo, ossia dai 4.100 euro in su. L'introduzione di un minimo legale avrebbe minacciato pesantemente diversi settori dell'economia come l'industria alberghiera e il turismo, il commercio al dettaglio, l'agricoltura e naturalmente l'edilizia.
Soddisfatta dell'esito delle urne l'Associazione delle industrie ticinesi (Aiti): «Il popolo svizzero ha capito che trasformare la Svizzera nel paese con il salario minimo più elevato al mondo avrebbe penalizzato proprio le fasce più deboli della popolazione, le persone meno qualificate, i giovani e le donne desiderose di entrare nel mondo del lavoro. Importanti settori dell'economia già colpiti dalla forza del franco avrebbero subìto ulteriori danni, mentre nelle regioni di frontiera il mercato del lavoro sarebbe stato messo ulteriormente sotto pressione».
Un voto che ricalca le orme di quello già espresso lo scorso novembre, quando ad essere spazzata via fu l'iniziativa per un tetto agli stipendi dei top-manager, che nelle
intenzioni dei promotori non avrebbero dovuto superare di dodici volte quella più bassa fra i dipendenti. Il messaggio degli svizzeri anche ieri è stato chiarissimo: ed è un «no» a un diktat dello stato sulle retribuzioni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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