Il retroscena

I sei sospetti attentatori restano in galera mentre gli investigatori di Sua Maestà continuano a battere tutte le piste e a controllare tutti i dettagli. Alla fine però il sospetto complotto destinato ad uccidere il Pontefice rischia di venir derubricato come falso allarme. O almeno come un timore largamente esagerato. Qualche buona ragione per preoccuparsi le autorità britanniche però l’avevano. Furono loro, infatti, nei primi anni 90 ad aprire le frontiere ai radicali islamici in fuga dall’Algeria dove il governo era impegnato in una lotta all’ultimo sangue con i fondamentalisti del Gia. Partiamo, però, dall’arresto all’alba di venerdì di sei netturbini tra i 20 e i 50 anni sospettati di preparare un attentato al Papa. Quando nella notte di giovedì arriva l’ordine di agire, i responsabili dell’anti-terrorismo non hanno in mano neanche uno straccio d’intercettazione telefonica. Paura e sospetti si basano solo su spezzoni di discorsi riferiti da uno sconosciuto informatore durante il primo giorno di visita di Benedetto XVI. A quel punto le autorità inglesi hanno due scelte. Possono far finta di nulla e tener d’occhio i sei, oppure non rischiare e arrestarli, mettendo nel conto l’ipotesi di un errore. La decisione di non correre il minimo rischio è legata all’origine algerina di almeno cinque dei sospetti e al loro lavoro di netturbini in una zona adiacente a quella del Parlamento dove il Papa è atteso per un discorso. L’origine algerina di cinque sospetti è comunque il fattore determinante. Se i fondamentalisti di origine pakistana e somala sono quelli più tenuti d’occhio la comunità islamista algerina di Londra resta la «grande madre» di tutte le cellule d’ispirazione radical terrorista. Tutto inizia nei primi anni 90 quando lo sceicco Abu Qataba, un militante giordano di origini palestinesi reduce dall’Afghanistan, s’impone come il capo e l’ispiratore delle cellule di fuoriusciti legati al Gia (Gruppo Islamico Armato) il più violento dei gruppi islamici in lotta contro il governo di Algeri. Pur essendo stato condannato a morte dalle autorità di Algeri che lo considerano l’organizzatore di un sanguinoso attentato all’aeroporto della capitale lo sceicco riesce a strappare alle autorità britanniche il diritto di asilo. Intorno ad Abu Qataba, definito dopo l’11 settembre l’ «ambasciatore di Al Qaida in Europa», si riuniscono e proliferano in quei primi anni 90 le fazioni più estremiste della lotta armata maghrebina. L’intelligence francese sconcertata dalla disinvoltura con cui Londra concede asilo e protezione a personaggi così compromessi non esita ad accusare di miopia le autorità politiche britanniche. L’accusa è tutt’altro che infondata. I sopravvissuti alla guerra civile algerina e alle retate del dopo 11 settembre diventeranno i coordinatori di Al Qaida Maghreb e delle attività terroristiche nel nord Africa. Ma Londra a quei tempi ha altre priorità. Stando a quanto rivelato alla Bbc nell’agosto 2008 dall’ex 007 David Shayler l’intelligence britannica progetta di usare le cellule islamiste londinesi per mettere a segno un attentato contro il colonnello Gheddafi. Tutto cambia dopo l’11 settembre e l’arresto nel 2007 di Abu Qataba.

Grazie all’impunità goduta negli anni 90 le cellule terroristiche algerine sono però riuscite a disseminare sul territorio inglese basi sconosciute e militanti in sonno sfuggiti a tutti controlli. Un attentato al Papa poteva essere l’occasione buona per riportarli all’azione. Proprio per questo Londra non poteva fare a meno di agire.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica