Il terrorismo sale ad alta quota Turisti trucidati sull'Himalaya

Il terrorismo sale ad alta quota Turisti trucidati sull'Himalaya

Stavolta ad uccidere non è stato il Nanga Parbat, la montagna assassina alta più di ottomila metri sui cui picchi e crepacci hanno perso la vita negli anni decine di scalatori. Stavolta a far strage di stranieri accampati alla base di uno dei tetti del mondo, nella catena dell'Himalaya, ci han pensato i talebani. Il sequestro di una comitiva di turisti - conclusosi domenica notte con l'uccisione di cinque ucraini, tre cinesi e un russo - è uno dei più efferati massacri di stranieri portati a termine dal terrorismo islamico pakistano.
La barbarica mattanza, messa a segno in una regione isolata, frequentata solo da spedizioni alpinistiche e da appassionati di montagna, minaccia di infliggere un ulteriore duro colpo all'immagine del Pakistan e compromettere una delle ultime risorse in grado di garantire al disastrato paese qualche afflusso di valuta straniera. «Lo scopo di quest'attacco è far credere al mondo che il Pakistan non sia più una zona sicura in cui viaggiare», ammette davanti al Parlamento il ministro degli interni di Islamabad Chaudhry Nisar Ali Khan assicurando però l'impegno del governo «a prender tutte le misure per garantire la sicurezza dei turisti».
Nell'ottica dei terroristi l'agguato punta invece a far pressione sull'esecutivo di Islamabad per ottenere la fine delle eliminazioni dei leader e dei comandanti delle formazioni terroriste islamiche inseguiti dagli aerei senza pilota della Cia in volo nei cieli pakistani. «Uccidendo gli stranieri vogliamo dare un messaggio al mondo, chiediamo a tutti di far la propria parte per mettere fine agli attacchi dei droni» - spiega il portavoce Ahsanullah Ahsan. Nella telefonata di rivendicazione la strage viene definita una rappresaglia organizzata dal gruppo Jundul Hafsa per vendicare l'eliminazione di Waliur Rehman, il numero due del movimento talibano «incenerito» da un missile il 29 maggio scorso.
La carneficina era stata minuziosamente preparata. Tutto inizia con il rapimento di due guide pakistane - abituate a lavorare con stranieri e alpinisti - per mano di una dozzina di talebani travestiti con le divise dei Gilgis Scout, la milizia governativa incaricata di sorvegliare i sentieri dell'isolata regione del Kashmir pakistano. La cellula terroristica, arrivata con tutta probabilità da un'altra regione, usa le due guide per farsi strada tra i tortuosi sentieri della regine del Gilgit Baltistan e seguire le tracce della comitiva accampatasi nel frattempo alla base del Nanga Parbat.
Quando il commando arriva tra i bungalow di legno e le tende ai piedi dell'«ottomila» per i turisti non c'è praticamente scampo. Il gruppo di cinesi, russi ed ucraini convinti - viste le uniformi - di aver a che fare con un gruppo di miliziani governativi non tenta nemmeno di scappare. I disgraziati si rendono conto che qualcosa non quadra solo quando gli armati pretendono di farsi consegnare denaro e passaporti. Ma probabilmente pensano ad una rapina e non realizzano di essere stati condannati a morte. Comprendono tutto solo quando gli assassini trascinano nel gruppo - già allineato davanti alle canne dei kalashnikov - uno dei due pakistani usati per farsi guidare al campo base. La sfortunata guida viene infatti considerata degna di morire in quanto di fede sciita. Subito dopo la parola passa ai kalashnikov.


All'alba del giorno dopo quando i militari pakistani - avvertiti dalla guida a cui i talebani hanno risparmiato la vita - sbarcano con gli elicotteri ai piedi del Nanga Parbat l'unico sopravvissuto è un cinese rimasto ferito dai colpi di kalashnikov, ma dato per morto dai massacratori fondamentalisti.

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