Il Venezuela va alle urne ma il disastro ha già vinto

Il Venezuela va alle urne ma il disastro ha già vinto

Morto un Caudillo se ne fa un altro. Ma la replica minaccia di rivelarsi più disastrosa dell'originale. Le presidenziali che oggi designano il successore di Hugo Chavez rischiano di diventare l'ultimo ballo sull'orlo del vulcano. Quel che fa più paura è la certezza del voto. Nessuno a Caracas o altrove scommetterebbe sulla sconfitta di Nicolas Maduro, erede designato del presidente scomparso il 5 marzo. Purtroppo, però, la certezza di quella vittoria non deriva né dall'acume, né dal carisma politico del favorito. Dietro l'inarrestabile ascesa c'è soltanto la certezza di veder replicate le politiche clientelari di un sistema che per 14 anni ha usato il petrolio come garanzia di illusorie politiche sociali. Per questo Maduro oggi non avrà difficoltà a raccogliere i voti dei milioni di fedelissimi a cui il defunto Hugo Chavez regalò posti e incarichi nella burocrazia e nell'economia di stato. Ma il problema, una volta sconfitto Henrique Caprile, 41enne portabandiera dell'opposizione, sarà come continuare a recitare il «todo bien».
Le visioni rivoluzionarie del defunto Hugo Chavez si mescolavano ad un innato carisma. Dell'ex sindacalista ed autista d'autobus Nicolas Maduro, nessuno ricorda altro se non le doti di cieca e devota ubbidienza con cui si è conquistato la carica di delfino. E gli sforzi di fantasia con cui la copia cerca d'avvicinarsi all'originale possono definirsi esilaranti, ma non certo entusiasmanti. L'episodio in cui Maduro descrive Chavez reincarnato in un pappagallino che gli saltella accanto mentre lui, assorto in preghiera, ne piange il ricordo resta uno dei momenti topici della campagna elettorale. Una visione suggellata successivamente dalle apparizioni di Maduro con un paio di pappagallini appollaiati sulle spalle. Il tutto in un crescendo di richiami al Chavez «Cristo dei poveri» di cui l'ex autista si definisce figlio spirituale. In questa campagna tra il visionario e il carnevalesco non poteva mancare Diego Maradona. Il calciatore, anello di congiunzione tra Chavez e Castro, si è più volte presentato accanto al baffuto Maduro per raccomandarlo come la miglior scelta possibile. Ieri ha anche pregato con lui sulla tomba dell'amico scomparso. E a rendere il tutto più familiare ha contribuito Aden Chavez, il fratello del defunto Caudillo usato come certificato di garanzia del successore.
Ma il Venezuela del dopo Chavez non può permettersi altre illusioni. Le sue riserve di petrolio sono fra le più importanti del pianeta, ma non sono eterne. E non producono ricchezza spontaneamente. Nei 14 anni di potere Chavez ha sistematicamente allontanato tutti i dirigenti della Petróleos de Venezuela (Pdvsa) non allineati con lui trasformandola in un surreale banco di mutuo soccorso. Grazie al petrolio della Pdvsa ha alimentato e garantito il sogno di «tre milioni di case per tutti» con cui ha vinto le elezioni dello scorso ottobre. L'oro nero, carburante e propulsore della rivoluzione permanente, rischia però di durare poco. L'eliminazione dei manager più qualificati della Pdvsa e la mancanza d'investimenti nella ricerca hanno fatto precipitare la produzione dai 3 milioni di barili al giorno del 2000 agli appena 1,7 milioni del 2011. Senza ricordare i 640mila barili spediti quotidianamente in Cina per ripagare un prestito da 42,5 miliardi di dollari e i centomila con cui, ad ogni sorger del sole, Caracas concretizza l'amicizia con Cuba e altri paesi «fratelli». Ma in un paese dove il petrolio rappresenta il 50 per cento dell'economia e garantisce il 90 per cento delle entrate in valuta estera questo equivale al disastro.

Un disastro già evidenziato dalle curve di un'inflazione destinata secondo le proiezioni a salire nei prossimi mesi dal 23 a oltre il 30 per cento. Cifre che minacciano di trascinare al collasso l'economia e trasformare Maduro da «figlio» di Chavez in suo capro espiatorio.

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