Il vero rebus di Obama è il doppio gioco del Cairo

La litania è lunga. Ed assai confusa. Così vien da chiedersi se prestar ascolto ai colpi sferrati al cerchio o alla botte. Forse a nessuno dei due. Anche perché la mazza è sempre nelle mani del presidente egiziano Mohammed Morsi. Una mazza usata da una parte per minacciare gli «infedeli», dall'altra per rassicurare americani ed europei. Infedeli, ma assai necessari. Soprattutto per un presidente alla disperata ricerca di dieci miliardi di dollari con cui risanare le dissestate casse statali. Un presidente che durante il suo viaggio a Bruxelles alterna le roboanti dichiarazioni televisive rivolte all'opinione pubblica egiziana ai messaggi assai più rassicuranti destinati ai governanti del Vecchio continente. «Noi egiziani respingiamo ogni attacco e ogni ingiuria rivolta contro il nostro Profeta. Condanno e m'oppongo personalmente a chiunque lo insulti» strilla Morsi commentando alla tv egiziana L'innocenza dei musulmani, il misterioso film che avrebbe innescato l'uccisione dell'ambasciatore americano a Bengasi e l'assalto della rappresentanza statunitense al Cairo.
Negli interventi europei i toni del presidente della Fratellanza musulmana sono assai più rassicuranti. «È un nostro dovere proteggere gli ospiti e gli stranieri. Chiedo a tutti di non violare la legge e di non assaltare le ambasciate» esorta il contrito Morsi. Che poi si lancia in un'esplicita condanna degli avvenimenti di Bengasi. «Uccidere gli innocenti è contrario ai principi dell'islam. La libertà d'espressione e quella di dimostrare sono garantite, ma senza attacchi alle proprietà private o pubbliche». Anche ieri sera, appena arrivato in Italia, in un colloquio con Monti ha rassicurato il premier sulla situazione egiziana.
A quale dei due Morsi credere? Probabilmente all'unico genuino, ovvero a quello mosso dalla disperata necessità di aiuti finanziari. Non che l'Europa o Bruxelles siano in grado di garantirglieli, ma abbassare i toni mentre si è a Bruxelles è il minimo per non veder sfumare gli aiuti del Fondo monetario, l'unica istituzione in grado oggi di garantire finanziamenti di quelle dimensioni. Ma se si parla di Fondo monetario si parla d'America. E qui i toni non sembrano proprio quelli giusti. Nel colloquio con la Casa Bianca il presidente egiziano insiste sulla necessità di «misure legali per scoraggiare chiunque cerchi di danneggiare le relazioni tra l'Egitto e il popolo americano». Obama dovrebbe preoccuparsi, insomma, di mettere la sordina a chiunque insulti il Profeta, calpestando quel caposaldo della libertà d'espressione rappresentato dal primo emendamento della Costituzione americana (come ieri ha precisato anche la Casa Bianca). Concetti che finiscono con il dimostrare come gli ideali di democrazia e libertà dei Fratelli musulmani restino lontanissimi da quelli Occidentali. Non solo. All'inizio della rivoluzione anti Mubarak, quando bisognava dissimulare l'immagine di una rivolta islamica i Fratelli musulmani controllarono con perizia ineccepibile le proprie folle. Perizia dissoltasi quando si è trattato di fermare un assalto all'ambasciata deciso in concomitanza con l'11 settembre. Del resto si son pure dimenticati di tradurre in arabo le condoglianze per la morte dell'ambasciatore, affidate a twitter unicamente in inglese.
La «confusione» egiziana fa il paio con le divisioni americane. Dopo l'attacco del rivale repubblicano, Obama ha replicato piccato: «Come al solito Romney spara senza prima prendere la mira». Ieri Romney è tornato alla carica: «Non solo noi, ma tutto il mondo e anche il Medio oriente hanno bisogno di un'America più forte».

Obama promette di far giustizia e ieri ha ribadito: «Nessun atto di terrore resterà impunito». Mentre in tv Hillary Clinton ha preso le distanze dalla pellicola su Maometto che ha scatenato proteste e violenze: «Gli Usa non hanno niente a che vedere con il film anti-islam, è disgustoso e riprovevole».

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