FAUST Quel dottore ammalato d’infinito

Il mondo antico produceva miti con grande fertilità. L’età moderna ne genera pochi, ma di forza travolgente: Amleto, il più importante, il dilemma tra l’essere e il non essere, l’archetipo non dell’uomo moderno, come scrivono i superficiali, ma dell’uomo in toto guardato con occhi moderni (vale a dire occhi che si dilatano allo sguardo induista, all’oriente delle rappresentazioni fantasmatiche, al mistero dell’apparizione), e poi Don Chisciotte, che non è tanto il mito dell’illuso quanto della divisione nell’uomo tra il sogno e la materia (Sancho Panza) quando sogno e materia si sono scissi infettando la loro felice e armonica unione, che si chiama realtà. E poi il sinistro, cupo e intollerabile Don Giovanni, intollerabile perché non è un amante delle donne, ma del nulla che coincide con un sopravvalutato se stesso.
Gli studiosi ufficiali del mito, classicheggianti e a volte retrogradi, non inscrivono nella mitologia moderna Moby-Dick, L’isola del Tesoro, Robinson Crusoe, miti di potenza assoluta, e dimenticano (a parte il grande Hillman) Pinocchio, l’invenzione o scoperta mitologica del puer, del fanciullo che è in ognuno di noi, eternamente fuggente e inappagato.
Nessuno trascura, invece, il mito moderno per antonomasia. Faust. Lo scienziato, filosofo, teologo, dottore in legge e medicina, l’onnisciente il quale, inappagato del proprio sapere, si volge alla magia, e in breve alla magia nera, stipula un patto col diavolo per ottenere benefici immensi in vita, giovinezza, ubiquità, possesso di ogni donna e ogni bene, poteri infiniti, in cambio dell’anima, diviene giustamente il mito dell’età moderna, l’età di grandi imprese umane ma anche della superbia, della sfida dell’uomo all’ordine naturale.
Il primo leggendario Faust si chiama Doctor Faustus, è il protagonista del capolavoro di Christopher Marlowe, l’amico-rivale di Shakespeare. Il Faustus di Marlowe vuole conoscere, la scienza umana non lo appaga, è assetato d’infinito. Cade nel tranello di Mefistofele come un giovane gagliardo e avventuroso, sogna il cielo, anela alla leggerezza del volo, stipula il patto, baratta l’anima. Straziante il coro degli angeli, gli spiriti buoni che gli parlano come accarezzandolo, «Dolce Faustus», lo invocano, ma il sogno dell’ubiquità, dell’onnipotenza nella breve vita terrena ha la meglio. Faustus inizia la sua avventura di onnipotente con un folle volo cosmico su un cocchio trainato da draghi eruttanti fuoco, sprezza dall’alto la terra «più piccola della mia mano». Vorrà tutto, anche la donna più bella di ogni tempo, Elena, la causa della guerra di Troia, ma il poeta che pulsa anche nel dannato Faustus, vince su ogni dannazione: «Ecco colei che fece gonfiare mille vele». Allo scadere del tempo concordato sprofonderà nella terra che si dilata, gridando «Non inghiottirmi buio inferno!». Ma inutilmente.
Quando Goethe riscrive il Faust riprende, rielabora, modifica il modello di Marlowe. Non credo affatto che lo superi, sono due capolavori complessi, diversissimi. Il protagonista, pur colpevole di peccati più gravi di quelli del suo predecessore (conduce alla rovina la giovane e innocente Margherita, colpisce un fiore, non un mito) si salva, poiché di misericordia trabocca l’opera di Goethe, sfavillante di visioni in cui si rivive l’iter della poesia d’Occidente.
Al mitico mago rinascimentale è dedicato uno studio ora in uscita, Il Mito di Faust. L’uomo, il dio, il diavolo, di Paolo Orvieto (Salerno Editrice). Ricco, complesso, tenta una sintesi della figura faustiana nella cultura d’Occidente da quando vi appare, quasi sulfureamente, da mago quale di fatto era. Utile e apprezzabile il lavoro di ricerca, interessante lo studio del mito di Faust nelle sue trasformazioni, a volte inquietanti, come nel caso dell’uso che verso la fine dell’Ottocento se ne fece in parte della cultura tedesca, fino a farlo coincidere col superomismo di inevitabile esito nazista. Ma, come scrive l’autore, la figura di Faust rinasce e si trasforma continuamente, come ogni mito «reale», aggiungo.
Tra le sue molteplici maschere e incarnazioni, giustamente l’autore contempla quella, quasi canonica, che lo identifica con Prometeo. Ma si tratta di un’identificazione errata, anche se storicamente ripetuta.

Faust è un uomo che vuole sostituirsi a Dio, Prometeo è un dio che si lascia crocifiggere (lì, inchiodato mani e ginocchia sulla rupe della Scizia) per amore dell’uomo. Faust è l’uomo superbo che vuole farsi Dio, Prometeo è il dio buono che si offre all’uomo.

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