La favoletta di Daniele e i suoi fratelli

Dall’epoca degli sputi e delle monetine a una squadra con uno spirito che tutta Italia invidia Anche se quei «buu» della curva a Zoro...

Andrea Cuomo

Il sindaco Walter Veltroni, che del buonismo alla romana ha depositato il marchio, non si è fatto sfuggire l’occasione e ha battuto alle agenzie i suoi complimenti a Daniele De Rossi, il primo romano dopo Muzio Scevola a entrare nella storia per via di una mano: «Il gesto di De Rossi fa onore a lui, alla squadra e alla città. Daniele ha confermato di essere, oltre ad un grande giocatore, un ragazzo di sport con valori profondi», ha detto il sindaco, appena in tempo per essere inserito nei giornali di ieri in qualche «pastoncino» da libro Cuore. Qualcun altro, come Gianni Rivera, che di Veltroni è il delegato allo sport, ha preferito prendere le distanze: «Più che un bel gesto un atto dovuto ma rimane il fatto che lui ha sbagliato in partenza».
Pensatela come vi pare, ma resta il fatto che il pentimento in diretta di Daniele De Rossi, che domenica sera all’Olimpico in Roma-Messina ha ammesso di aver segnato con la manina permettendo allo svagato arbitro Bergonzi di annullare il suo gol, costituisce l’ennesimo mattone di quella che appare come la vera novità della stagione calcistica romana e, soprattutto, romanista. L’operazione simpatia che in casa giallorossa è partita con il nuovo anno, proprio in corrispondenza - sarà un caso? - con la partenza per Madrid di uno dei giocatori più caratteriali del calcio mondiale: Antonio Cassano. Così, già purgata in un sol colpo di altri grandi antipatici (da mister ghigno Capello al «Puma» Emerson fino a Zebina, tutti finiti nella loro destinazione naturale, la squadra odiosa per eccellenza, la Juventus), la Roma ha iniziato l’operazione «cuore d’oro». Unendo divertimento, allegria, sani princìpi e - ciò che non guasta - una strizzatina d’occhio della fortuna. È nata così la serie magica di undici vittorie consecutive in una escalation di sfortune e difficoltà. Collana di perle celebrata con un’esultanza nuova di pacca (il mucchio selvaggio con schiaffetto sbarazzino sulla testa), finalmente gioiosa e non nervosa, e con un infantile e giusto un po’ irridente girotondo a fine partita. Poi è arrivato l’infortunio di Totti, psicodramma cittadino (correggiamo: di due terzi della città) che, al di là dell’esagerata copertura mediatica, è stato vissuto dal protagonista con commendevole compostezza e con il sorriso sempre sulle labbra. E poi: vuoi mettere la soddisfazione di avere costretto anche qualche non romanista, nell’imminenza dei mondiali di Germania, a fare il tifo per la caviglia più spiata d’Italia? Infine l’apoteosi di domenica, con un biondino come tanti che ha costretto con un gesto semplice tutta l’Italia ad applaudirlo. A noi poi piace sottolineare un particolare di questa storia. La faccia del ragazzotto quando gli è stata estorta la confessione: testa bassa di vergogna. In un mondo spavaldo e aggressivo come il circo pallonaro, un po’ il rossore è già una buona notizia.


Insomma, dopo anni di sputi, di monete sugli arbitri, di partite a porte chiuse, di ragazzacci viziati, un dubbio si insinua: la Roma è forse diventata simpatica? Poi uno pensa alle curve, ai «buu» a Zoro, agli striscioni nazisti, e ci ripensa: no, tranquilli, siamo ancora noi i cattivi della compagnia.

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