Festival ateo e contestatore (a parole)

Poco amore e tanta trasgressione in gara all’Ariston: dal tradimento dei La Crus all’elogio della ribellione di Vecchioni fino al sesso fugace di Patty Pravo. E persino Al Bano racconta di "notti piene di oscenità" Tutti i duetti

Festival ateo e contestatore (a parole)

Ma, scusate, non era già partita la solita tiritera sulla censura cattivona al Festival di Sanremo? Testi ritoccati, versi cancellati, diktat aziendali. Invece figurarsi: date un’occhiata alle parole delle canzoni, si dice di tutto, persino che Dio non c’è o che è giusto fare «un gesto col dito» alla faccia del bon ton. La prima vittima della mannaia sarebbe stato un Tricarico sospetto di anti leghismo, già lui, uno che non offende una mosca neanche con il pensiero. Qualcuno titolò: l’ombra della censura sulla sua canzone Tre colori, senza neanche accertarsi che l’autore Fausto Mesolella degli Avion Travel l’aveva pensata e scritta per lo Zecchino d’Oro, non proprio un raduno di black bloc. Insomma tanto rumore per nulla: raramente i testi delle canzoni che sfilano all’Ariston sono stati più pacatamente credibili - per capirci, la Terra dei cachi di Elio e Le Storie Tese faceva sorridere ma era pur sempre un sorriso indolore - quasi a contenuto sociale, qualche volta politico, persino spirituale e comunque mai filogovernativo. A parte Van de Sfroos, che in Yanez è il più ficcante in assoluto e va a cavallo di una musica che ti rimane appiccicata, quasi tutti i cantanti si sono sforzati di evitare il «sole cuore amore» sanremese perché ormai anche gli autori più tradizionali pensano che anche no, quella è ormai roba superata. Persino Albano - dicesi il più conservatore di tutti - parla di una Amanda «lungo l’asfalto che è nero di povertà, notti di Venere piene di oscenità» e quindi è ovvio che i La Crus non abbiano avuto mezze misure parlando di tradimenti e ateismo: «Lo so di aver tradito, ma tradire poi cos’è. Non credo nel peccato amore mio perché non credo in Dio». Mica male. Ma a dirla tutta è la canzone di Roberto Vecchioni, considerata a ragione tra le migliori. Quando lui debuttò al Festival aveva trent’anni e a quei tempi davvero non si poteva fiatare: quindi la sua L’uomo che si gioca il cielo a dadi si spingeva al massimo a un non certo trascendentale «papà, lasciamo tutti e andiamo via». Adesso invece pesta duro. Il pezzo si intitola Chiamami ancora amore ma dentro ingloba sospiri per «l’operaio che non ha più il suo lavoro», «chi a vent’anni se ne sta a morire in un deserto come in un porcile» e tutti gli studenti «così belli a gridare nelle piazze perché stanno uccidendoci il pensiero». Al di là del fatto che, quand’erano ragazzi, anche i loro professori gridavano le stesse cose (e quindi c’è qualcosa che non quadra), avete capito che realmente stavolta il Festival di Sanremo è un’enciclopedia della contemporaneità senza se e senza ma. Ci gira intorno persino Anna Oxa, che in La mia anima d’uomo celebra un «gesto con il dito» che la cronaca ha ultimamente trasmesso su tutti gli schermi. Volendo, persino Anna Tatangelo, che ha un brano più rock del solito e sfoggerà ogni sera un look diverso (curato da Luca Tommasini), sfora nella «nera», ma la sua è soltanto l’invettiva di un’amante delusa, tanto prodiga di minacce quanto inoffensiva: «Voglio dirti quello che sento, farti morire nello stesso momento, bastardo!». Chi invece rimane nell’alveo del suo stile, sinuoso e provocante, è Patty Pravo. A parte il suo ormai ricorrente abbinamento tra amore e caffé, nella sua Il vento e le rose, mescola anche sesso ed economia, questa sì una novità: «Venti minuti d’amore e sentire alla televisione di questa economia». Invece Giusy Ferreri, Luca Madonia e Nathalie rimangono in scia, più o meno poetici, più o meno comprensibili (com’è l’aria «un po’ confusa per colpa del calore» di L’alieno di Madonia?).

E perciò risalta assai il neorealismo dei Modà con Emma, favoriti alla vittoria non solo perché loro sono il vero fenomeno del momento (oltre centomila copie già prenotate del loro nuovo disco) e lei ha vinto Amici, ma perché il brano è robusto e irresistibile e il cantante Francesco Kekko Silvestre ha una penna senza età, mai troppo svolazzante ma sempre precisa nel fare quei ritratti che avrebbero colore anche se fossero in bianco e nero.

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