Dalla Fiat lezioni di federalismo. Contratto unico addio

La discussione sulla newco Fiat a Pomigliano d’Arco sugli investimenti Fiat a Mirafiori, ha fatto emergere una certezza: e cioè che gli accordi con i sindacati che consentono a Sergio Marchionne di effettuare massicci investimenti in Italia, sono intese decentrate a livello di stabilimento, sicché il contratto unico nazionale, eguale per tutti, diventa una scatola vuota, dotata solo di alcuni principi generali. I soggetti decentrati delle due parti, i datori di lavoro e i sindacati, ci metteranno, ciascuno, il contenuto che ritengono appropriato, per la propria zona. Tramonta un’epoca: quella delle relazioni sindacali centralistiche collegate alla politica. E ne sorge, finalmente, un’altra , quella del federalismo sindacale contrattuale. Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, si è accordata con Sergio Marchionne per rendere compatibili i contratti aziendali Fiat Auto per Pomigliano e per Torino con quello nazionale metalmeccanico, introducendovi una clausola interpretativa di maggiore flessibilità.
E poiché questo contratto nazionale spira nel 2012, la discussione sulla validità o meno di tale interpretazione lascia il tempo che trova, cioè poco. Oramai c’è lo strappo. E il nuovo contratto nazionale sarà a maglie larghe, si adeguerà al federalismo. E, del resto, dall’incontro Marchionne-Marcegaglia e da quello tra la Fiat e i sindacati, con il governo quale arbitro riguardante i casi di Napoli e Torino, è emerso un messaggio, più ampio: quello che è stato subito raccolto dall’Associazione industriale di Brescia. Questa ha convocato Cgil, Cisl eUil e ha proposto un patto territoriale che ripropone i temi della competitività e della flessibilità, gli stessi cari a Marchionne e rimarcati nella lunga trattativa di Pomigliano, ovviamente tenendo conto delle condizioni retributive locali. Cisl e Uil, anche se chiedono il rispetto di alcune clausole generali nazionali, sono d’accordo sulla contrattazione decentrata, perché il modello del federalismo contrattuale è nel loro Dna. La Cisl si rifà alla dottrina sociale della Chiesa Cattolica, che contiene, dal Milleottocento, con la enciclica Rerum Novarum, il principio di sussidiarietà che comporta di preferire, per le azioni collettive, tutte le volte che ciò sia possibile, quelle più vicine alle persone. Quindi, gli accordi e le politiche locali vanno preferiti a quelli nazionali. La Uil è stata fondata sul modello del sindacato libero degli Usa, che applica da sempre la contrattazione decentrata. E Marchionne che propone questo modello lo ha attuato a Detroit per la Chrysler con il sindacato dell’auto locale (Uaw). La Cgil e la Fiom soffrono e si contorcono di fronte a questa nuova situazione e sostengono che in questo modo i lavoratori verranno sottoposti ai diktat padronali.
Ma è un linguaggio fuori dalla realtà. Il modello del contratto unico nazionale, alla prova dei fatti, è fallito. Infatti la produttività nelle nostre industrie si è sviluppata molto meno che in quelle dei Paesi ove vi è la contrattazione decentrata, basata su principi di produttività aziendale. Marchionne, sul piatto della bilancia, non ha posto ideologie, ma 20 miliardi di nuovi investimenti in Italia. E gli industriali di Brescia che chiedono questo patto territoriale decentrato, debbono fare i conti con la concorrenza internazionale, in una fase in cui è importante investire, per inserirsi solidamente nei mercati.


Alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento i contratti decentrati servirono alla nostra industria, più giovane delle altre europee, per potersi insediare sulla scena internazionale. Ora, la nostra è un’industria matura, ma c’è una sfida dei Paesi nuovi. E solo la produttività può consentirci di rimanere una nazione a prevalente vocazione industriale.

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