«Fidatevi di un napoletano, non bastano i soldi»

Renzo Arbore, artista poliedrico e fuori dal coro, che nella sua carriera ha sempre privilegiato le passioni al successo facile, sulla «qualità di vita» ha una ricetta tutta sua.
Arbore, lei è il ritratto della felicità. Ci spiega il suo segreto?
«Nessun segreto, ho sempre seguito il mio istinto e fatto quello che mi piaceva. E poi, col tempo, le mie passioni mi hanno anche portato denaro, ma quello è venuto dopo, non è mai stato il fine ultimo».
Non sono in molti a pensarla come lei...
«È vero, anche se negli ultimi tempi, con la crisi, mi sembra ci sia un ritorno alla moderazione, a una certa sobrietà. Si comincia a capire che il denaro non è tutto: quell'orgia dell'accumulo che perseguono alcuni, a lungo termine non po rta da nessuna parte».
Con la crisi, però, c'è chi fatica ad arrivare a fine mese. In Lombardia, per esempio, è insoddisfatta una famiglia su quattro perché guadagna troppo poco. Sbaglia?
«Assolutamente no. È quel "troppo poco" che dà ragione alle famiglie. Se non hai lo stretto necessario per sopravvivere e occuparti dei figli, come puoi goderti la vecchiaia ed essere felice? In fondo, la felicità la fanno gli affetti».
E le passioni...
«Quelle per me sono sempre state al primo posto. Sia nelle scelte televisive, do ve ho lanciato programmi del tutto anticommerciali per quel periodo, come "Alto gradimento", "Quelli della notte", che poi si sono rivelati dei successi. Portan do tra l'altro persone della strada, come Marisa Laurito, Nino Frassica... Ai tempi nessuno avrebbe scommesso su di me».
Poi è arrivato il clarinetto...
«La mia più grande passione. Per la mia musica ho rifiutato contratti televisivi miliardari, quando ancora c'erano le lire».
Per esempio?
«Direzioni di rete, di programmi: non voglio fare nomi, ma mi hanno offerto davvero di tutto, e per cifre clamorose. Ma non erano ruoli nelle mie corde, io volevo fare altro. Il mio sogno era creare un'orchestra per valorizzare la canzone napoletana classica e portarla in giro per il mondo, restituendo dignità, tra l'altro, a un antico strumento popolare come il mandolino. Così ho fatto, e nel 1991 è nata l'Orchestra Italiana, con quindici grandi solisti. Quella è stata la mi a più grande scommessa: allora la vecchia canzone napoletana era considerata un genere di nicchia, superato, obsoleto. Oggi la mia musica piace ed è conosciuta ovunque: faccio sessanta, settanta concerti all'anno in tutto il mondo. Quest'anno, per esempio, ho percorso tutte le tappe del Risorgimento: Milano, Bergamo, R eggio Emilia, Firenze, Torino, tutte città del Nord, pensi un po'. E sempre registrando il tutto esaurito. Allora chi mai l'avrebbe detto?».
Non tutti, però, possono permettersi di seguire le proprie aspirazioni.
«Infatti mi considero un privilegiato. E capisco le famiglie che si lamentano, con i tempi che corrono. Ma sa, quando si raggiunge il successo e l a popolarità come è accaduto a me, è facile lasciarsi prendere la mano e fare scelte commerciali, dal sicuro rendiconto economico, magari a scapito della qualità. A me per fortuna non è successo, e mi considero fortunato anche per questo.

Le scelte economiche, a lungo andare, ti rovinano la vita. Ho fatto mio un vecchio proverbio argentino: "No quiero ser indicado como el mas rico del cementerio": non voglio essere giudicato come il più ricco del cimitero».

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