Che Barack Obama fosse il candidato preferito dal regime cubano lo sapevano tutti. Che Fidel, nonostante la malattia che lo ha costretto a cedere il potere al fratello Raul, si dicesse pronto a «incontrare il prossimo presidente degli Stati Uniti ovunque egli voglia», senza pregiudiziali di luogo, era già più difficile da immaginare. Eppure, in una delle riflessioni che periodicamente affida al sito Cubadebate, intitolata «Navigare contro la tempesta», il líder Máximo ha detto proprio così. Altro che il luogo neutrale (che poteva essere anche l'enclave di Guantanamo) di cui aveva parlato Raul Castro. Per Fidel non esistono limiti. «Ovunque voglia, perché noi non siamo predicatori di violenza e guerra - ha scritto -. Deve solamente ricordare che, col popolo cubano, non funzionerà la tecnica del bastone e della carota».
Ma nonostante quest'apertura, e nonostante il presidente del Festival del Cinema de L'Avana, Alfredo Guevara, amico di Fidel Castro sin dagli anni dell'università proprio in occasione dell'apertura della kermesse cinematografica abbia definito l'elezione di Barack Obama come «il simbolo del fatto che un altro mondo è possibile», da parte del leader comunista sono arrivate anche parole critiche nei confronti del prossimo inquilino della Casa Bianca, e in particolare sulle sue scelte. «Ha richiamato la mia attenzione la nomina di Gates - ha sottolineato in un passaggio -. Mi risulta sia un repubblicano, non un democratico. Inoltre Obama non ha ancora risposto ad alcuni dei problemi che ho sollevato coi miei interventi nei mesi scorsi e deve ancora provare di essere ciò che la gente si aspetta».
Fiducia sì, insomma, ma non su tutta la linea. Anche perché, per il Líder Máximo, la vittoria dell'ex senatore dell'Illinois sarebbe dovuta soprattutto alla crisi economica e al supporto dei media. «Senza questi due fattori non avrebbe sconfitto il razzismo che permea la società statunitense - ha chiosato -. Si ricordi che non è Abraham Lincoln. Qualcuno deve dare una risposta serena e calma, per navigare oggi contro la potente marea di illusioni che nell'opinione pubblica internazionale ha creato Obama».
Sembrerebbe quasi, dunque, che ad usare la tecnica del bastone e della carota sia l'anziano leader cubano. Che, sul fronte interno, tiene ancora duro. Infatti, mentre Cuba si avvicina al cinquantesimo anniversario della rivoluzione castrista, il governo di Raul e Fidel sembra aver deciso un giro di vite per il gruppo di blogger cubani che spingono perché siano lasciate più libertà ai cittadini dell'isola caraibica. Giovedì scorso la blogger Claudia Cadelo è stata convocata e portata al ministero dell'Interno, che si occupa della sicurezza pubblica. E il giorno prima Yoani Sanchez, la curatrice del blog Generation Y, il più influente di Cuba, è stata avvertita di aver «superato i limiti della tolleranza del governo con la sua vicinanza reiterata ad ambienti controrivoluzionari» e contestualmente le è stato revocato il permesso di tenere un incontro già pianificato. Non è la prima volta che la Sanchez è oggetto delle attenzioni degli uomini di Fidel e Raul: alla trentatreenne, esponente di punta del gruppo di blogger che raccontano la vita di tutti i giorni a Cuba e nominata dalla rivista Time fra le 100 persone più influenti dell'anno, la scorsa estate era stato anche vietato di andare in Spagna a ritirare uno dei tanti premi che ha vinto per il suo diario virtuale e che il quotidiano El Pais voleva attribuirle.
E anche per i provider di Internet è arrivata una stretta: una nuova legge, pubblicata la settimana scorsa, ha stabilito che devono prevenire l'accesso a quei siti i cui contenuti sono «contrari all'interesse nazionale e al buon costume» o che contengano «programmi o applicazioni che possano danneggiare l'integrità dello Stato». «Tutto è in stand-by», ha detto in un messaggio e-mail Ernesto Hernandez, che per sicurezza ha spostato il suo blog a Barcellona.
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