La fine dell'Emden, l'ultima vera corsara

Arriva in Italia il romanzo di Jean-Jacques Langendorf sull'imprendibile incrociatore

La fine dell'Emden, l'ultima vera corsara

Nove novembre 1914, una nave corsara solca le onde dell'Oceano indiano nei pressi delle isole Cocos, si tratta dell'incrociatore leggero della marina imperiale tedesca Sms Emden. Nei mesi precedenti, sotto il comando di Karl Von Müller, l'unità, che originariamente era stanziata nel porto coloniale di Tsingtao, ha portato lo scompiglio nelle rotte commerciali e nei porti indiani dell'Impero britannico. Piccola, sfuggente, con un equipaggio coraggioso e fantasioso - che ha persino costruito un finto fumaiolo aggiuntivo per farla assomigliare agli incrociatori inglesi - ha fermato convogli, affondato mercantili, incendiato depositi petroliferi... È persino penetrata, con folle coraggio, nel porto malaysiano di Penang. Dove, con un fuoco furibondo e a distanza ridotta ha affondato prima l'incrociatore protetto russo emchug e subito dopo il cacciatorpediniere francese Mousquet. E tutto questo con una fama da corsari galantuomini, elogiati dai loro stessi prigionieri, signore eleganti dei piroscafi comprese.

Ma ora tutta questa fortuna sta per finire. Mentre una squadra è scesa a terra per far saltare la locale radiostazione: «nel giro di qualche secondo l'incrociatore fu circondato da cinque colonne d'acqua alte un centinaio di metri. Si trattava dunque di un avversario potente, dotato di cannoni di grosso calibro, probabilmente dei 150 mm, e che sapeva aggiustare il tiro». Sì era l'incrociatore Sidney della marina australiana. Fu una battaglia senza storia. In meno di due ore di combattimento l'Emden era ridotto ad un rottame fumante, Müller scelse di incagliarlo sulla spiaggia dell'isola di North Keeling per salvare almeno parte dei suoi uomini: 131 tra ufficiali e marinai erano già stati uccisi e 65 feriti.

Müller venne preso prigioniero mentre il reparto sbarcato sull'isola, guidato dal vicecomandante Von Mücke, riuscì a mettere in piedi la più rocambolesca fuga. Impossessandosi di un piccolo schooner abbandonato, l'Aisha, e mettendolo in condizioni di navigare, i tedeschi fuggirono dalle Cocos verso le Indie olandesi. Raggiunta Sumatra, gli uomini di Mücke trovarono un imbarco su un mercantile tedesco, il Choising, che forzando il blocco dell'Intesa riuscì ad approdare ad Al-Hudayda, nello Yemen controllato dagli alleati ottomani. Risalito il Mar Rosso fino a Gedda, i tedeschi riuscirono infine a salire su un convoglio della ferrovia dell'Hegiaz e terminare in gloria la loro fuga a Costantinopoli nel giugno del 1915, dopo una anabasi lunga otto mesi e circa 11mila chilometri.

Questo e molto altro ancora si può trovare nel romanzo di Jean-Jacques Langendorf appena pubblicato per i tipi delle Edizioni Settecolori: Scende la notte, Dio guarda (pagg. 318, euro 28). Incentrato sul personaggio del barone Hohberg, il libro usa il microcosmo galleggiante della nave per ricostruire un mondo e un'etica. C'è in Hohberg e nei suoi compagni un sentimento estetico della guerra ottocentesco che verrà ingoiato e triturato dal carnaio della Grande guerra. Tra il carbone che chiude le gole dei fochisti, tra le corazze d'acciaio e il furore omicida delle testate dei siluri, si spegne un sogno di civiltà fatta di cavalleria, di orientalismo e di sogni arabeggianti.

La vicenda della grande cavalcata dell'Emden, molto nota nel mondo germanofono e meno in Italia, è anche nella sua pura storicità una trama da romanzo assolutamente perfetta. Langendorf riesce però a sfruttarla e ad incrociarla con altre vicende come quella dell'arabista e archeologo austriaco Eduard Glaser e dell'orientalista David Heinrich Müller, con la storia della nobiltà tedesca, la decadenza di Costantinopoli, l'atmosfera decadente dei porti coloniali. Il risultato è un bellissimo caleidoscopio di parole che tiene insieme l'Oceano indiano e i castelli della Baviera, il mondo degli espatriati al Cairo e il rigore degli ufficiali di marina germanici. Non deve stupire, l'autore, classe 1938, è svizzero di lingua francese ma vive in Austria. La storia militare è il suo pane: è direttore di ricerca presso l'istituto di strategia di Parigi. Tra i suoi libri tradotti in italiano spiccano Elogio funebre del generale August-Wilhelm von Lignitz (Adelphi) e Una sfida nel Kurdistan (sempre Adelphi). E questa sensibilità che incrocia la letteratura e la storiografia genera pagine di grandissima bellezza e malinconia. Quella di Langendorf non è una Prima guerra mondiale dove si precipita da sonnambuli come ha sostenuto il grande storico Christopher Clark, semmai un risveglio amarissimo dal sogno residuo di ogni cavalleria e bella morte. Una scena per tutte, l'Emden intercetta un vecchio bastimento.

«Quando il capitano in questione uscì dalla sua cabina, il tedesco faticò a nascondere il proprio stupore. Era un vecchietto tutto curvo, con una lunga barba bianca e il volto solcato di rughe. Infagottato in una divisa improbabile - forse risalente ai tempi di Nelson - avanzò a piccoli passettini, aiutandosi con il bastone... Le cariche piazzate sulla bagnarola non tardarono a esplodere. Lo scafo si sollevò, elica e timone emersero fuori dall'acqua e, tra gli scricchiolii dell'ossatura marcia, la nave sprofondò negli abissi. Hohberg, in piedi accanto all'ottuagenario, notò le lacrime sul suo viso rugoso, lacrime trasformatesi poi in un singhiozzo irrefrenabile che scuoteva come una tempesta la sua vecchia carcassa...

Von Müller si girò verso von Mücke: Avremmo dovuto lasciargli il suo mucchietto di ferraglia. Guardi come l'abbiamo reso infelice».

Ma era un intero mondo ad affondare con la guerra, e nessuno avrebbe potuto tenerlo a galla. Men che meno i cavalieri e i sognatori dell'Emden.

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