Fingevano furti e incidenti con Ferrari e Porsche

Truffavano compagnie assicurative fingendo falsi incidenti stradali, ma riciclavano anche veicoli di lusso, reimmettendoli nel mercato con cloni documentali copiati all’estero.
La polizia stradale di Roma, con la collaborazione della municipale, nei giorni scorsi ha scritto la parola fine sull’attività di un’associazione composta da professionisti e pubblici ufficiali «esperti» nel «ripulire» e rivendere auto di grossa cilindrata e nelle frodi alle assicurazioni effettuate simulando furti di vetture e sinistri stradali. Venti sono le vetture di alto livello, il cui valore si aggira sui tre milioni di euro, ritrovate nel corso dell’operazione. L’indagine, denominata «Ghost cars», ha fatto scattare le manette ai polsi di sette persone, finite in carcere, mentre altre due si trovano agli arresti domiciliari. Tra gli indagati è finito anche un avvocato romano, un giudice di pace civile, che esercita nel Cosentino, e due vigili urbani della municipale capitolina.
L’inchiesta è scattata quattro mesi fa, coordinata dai pm Nunzia D’Elia e Maria Cristina Palaia, mentre le ordinanze sono state emesse dal Gip Luisanna Figliolia. In particolare si è scoperto che un ristretto gruppo di imprenditori aveva messo su un giro di riciclaggio di veicoli di altissima gamma, tra i quali alcune Ferrari, Porsche, Lamborghini. Oltre agli arrestati ci sono anche trenta indagati in stato di libertà per concorso in ricettazione, riciclaggio e falso materiale. Nel mirino della banda soprattutto compagnie assicurative, dalle quali ottenevano cospicue somme per il risarcimento di finti furti di autovetture e incidenti.
Il gruppo reperiva, sul mercato internazionale, veicoli di lusso che venivano acquistati a prezzi estremamente contenuti, in quanto gravemente incidentati. In alcuni casi, dopo aver scoperto i numeri di telaio di auto circolanti all’estero, incorporavano i dati in una falsa documentazione, producendo così dei cloni documentali, anche all’insaputa dei proprietari. Una volta ottenuta l’immatricolazione con targhe italiane le macchine, dopo un lasso di tempo variabile, venivano assicurate. Quindi il gruppo aveva tre modi diversi per ottenere illeciti guadagni. Un primo metodo era quello di coinvolgere i veicoli in falsi incidenti stradali, rilevati a volte da pubblici ufficiali compiacenti per poi effettuare richieste di risarcimento, attraverso l’esibizione di fatture emesse da officine meccaniche compiacenti. Se già coinvolte in precedenti sinistri, invece, le auto venivano denunciate come rubate, per ottenere un ulteriore rimborso dalla compagnia.

Il terzo metodo era riassemblare i veicoli, con parti di carrozzeria o parti meccaniche recuperabili da altri veicoli incidentati. Poi si provvedeva alla sostituzione del numero di telaio originale. Gli stessi veicoli venivano quindi immessi sul mercato e venduti al prezzo corrente.

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