Fini assolve gli elettori: «Serve una riflessione»

Luca Telese

da Roma

Se una cosa si è capita, ieri, è questa: il centrodestra tiene. Ma al contrario di quando era al governo, da quando è all’opposizione non può più permettersi il lusso di giocare «a tre punte». La differenziazione ha permesso di capitalizzare i rispettivi consensi fino al 9 aprile. Ma da allora in poi, i mille distinguo hanno aperto molti varchi nel sistema di alleanza del centrodestra.
Per capirlo, ieri, era sufficiente il colpo d’occhio sulla geografia dei risultati, del tutto difformi da quelli della coalizione. Il «no» che vinceva clamorosamente a Milano (dove solo un mese prima aveva trionfato Letizia Moratti) e il «sì» che arriva alla vittoria solo in due delle regioni governate dalla Cdl, Lombardia e Veneto. Certo, tutti d’accordo, nella Cdl, sull’analisi, che uno dei leader di primo piano di An, Roberto Menia, riassume così: «Hanno vinto, purtroppo, la restaurazione e la conservazione». Ma detto questo, molti si interrogano sull’erosione di consenso che emerge dal voto: il «sì» ha prevalso solo in 23 province. Non solo: se si esce da Veneto e Lombardia, a favore della riforma della Cdl hanno votato solo cinque province del Piemonte (Cuneo, Novara, Vercelli, Biella e Verbania) e una della Liguria (Imperia).
Così colpisce la dichiarazione di Bossi («Vinciamo sopra il Po, sono deluso dal resto dell’Italia»), ma è ovvio che il centrodestra si chieda quale errore di comunicazione abbia prodotto clamorose sconfitte anche nella roccaforte siciliana (il «sì» ottiene solo il 30,01%!). Non solo: in tutte le regioni del Sud il «sì» ottiene meno del 30%, e in Calabria si ferma addirittura al 17,5% (il casa di Agazio Loiero, il no ha il record «bulgaro» dell’82,5%). Certo, ieri l’azzurro Enrico La Loggia definiva «auspicabile una collaborazione con l’Unione sul titolo V» ma chiedeva: «La posizione sulle riforme, è quella di Bertinotti o quella di Prodi?».
In An la sconfitta è definita esplicitamente come la tappa necessaria di una riflessione strategica da aprire al più presto nel centrodestra. «Inutile prendersela con gli elettori - avverte il leader del partito, Gianfranco Fini - bisogna che la Cdl rifletta» sul perché in una contesa che «pure ha avuto toni molto aspri» il Polo «sia riuscito a mobilitare meno il suo elettorato». E il portavoce di via della Scrofa Andrea Ronchi ribadisce: «È stata una sconfitta netta, chiara e inequivocabile: ora è importante che il centrodestra analizzi e capisca le motivazioni di questo risultato». Ronchi pensa poi all’Afghanistan come banco di prova per Prodi e i suoi alleati: «Ora aspettiamo il governo in Parlamento per metterlo in difficoltà - dice - soprattutto sulla politica estera dove la loro unità è una chimera». Posizioni che Maurizio Gasparri spiega così: «Prodi non riuscirà ad aprire il confronto sulle riforme che servono all'Italia perché i cespugli dell'Unione glielo impediranno. Oggi l'Unione è euforica ma ballerà poco: su Afghanistan, economia, sanità e dipendenti pubblici già si profilano contrasti». Concorda Fabrizio Cicchitto (Fi): «Dopo un giorno di trionfalismo per l’Unione torneranno i problemi di fondo».


In tarda serata anche il coordinatore nazionale di Forza Italia Sandro Bondi fa capire che si va verso il muro contro muro: «Se le posizioni della maggioranza di governo sono queste o restano quelle emerse durante la campagna referendaria - osserva - è molto difficile credere che l’invito a riprendere insieme il lavoro riformatore possa essere sincero e non semplicemente un doveroso inchino alla virtù del dialogo». Solo che, per fare l’opposizione dura, la Cdl deve riuscire a marciare unita. Udc compresa.

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