Fini scaricato anche dai suoi fedelissimi

I fedelissimi adesso frenano: "Niente fughe in avanti". E in Tv scoppia la rissa con gli ex An che insultano i colleghi del Pdl. Berlusconi è stufo: "Se Gianfranco vuol fare politica si dimetta e faccia il coordinatore". Il premier agli imprenditori: "In due anni pronta anche la riforma del fisco". Paragone: "I Fini boys parlano come Di Pietro"

Fini scaricato anche dai suoi fedelissimi

Col passare delle ore si chiariscono i contorni, e la reale portata, della scissione minacciata da Gianfranco Fini e da un gruppo di senatori e deputati del Pdl. Berlusconi non sembra preoccupato, anzi, chi lo ha sentito e visto in queste ore riferisce di un premier sereno e deciso a non cedere a nessun ricatto. Tutto quello che c’era da dire e chiarire è stato detto e semmai anche ieri i pontieri hanno lavorato per trovare una via di uscita onorevole per il presidente della Camera e i suoi fedelissimi. La consistenza dei quali si assottiglia di giorno in giorno. La colazione dei senatori che ieri dovevano giurare eterna fedeltà all’ex capo di An si è conclusa con una retromarcia di 180 gradi. Nel documento finale ci sono molte parole di circostanza e di solidarietà a Fini, ma è stato messo nero su bianco che si esclude la possibilità di uscire dal Pdl per formare un nuovo gruppo. Come dire, fino a che si tratta di alzare la voce in tv e nei corridoi di Palazzo Madama va bene. Ma se c’è da mettere la firma sulla propria condanna a morte politica (per alcuni anche economica) allora è meglio non scherzare.
Da ieri quindi Fini è ancora un po’ più solo nel suo progetto sfascista. Gli rimane al fianco il fedelissimo Italo Bocchino che nei piani doveva diventare il nuovo regista della politica italiana. Ieri è stato l’unico a rilanciare la minaccia della scissione. Lo ha fatto in un lungo, confuso e contraddittorio articolo pubblicato sul sito dell'associazione Generazione Italia. Nel quale sostiene che Berlusconi è bravissimo, Tremonti è un genio ma che entrambi devono essere ridimensionati. Bocchino pone poi questioni inderogabili, mettendo sullo stesso piano il problema meridionale, quello de il Giornale e le famose cene ad Arcore tra il premier e Bossi del lunedì sera. Sul primo punto non si capisce cosa voglia, visto che essendo lui un leader politico del Sud dovrebbe prendersela innanzitutto con se stesso. Sul secondo invece il suo desiderio è chiaro: cacciare l’attuale direttore e commissariare la testata. Per quanto riguarda le cene non si è capito se il suo sia un problema gastronomico o pura invidia, almeno che la sua intenzione sia quella di sottoporre al congresso del Pdl una mozione nella quale si vieti al premier di vedere chi vuole quando vuole.


Insomma, si riterranno anche l’ala illuminata, moderna, democratica e laica del centrodestra, si circonderanno pure di fini intellettuali, ma neppure ieri dal cenacolo finiano è uscito uno straccio di ragionamento politico che regga il gran trambusto che hanno messo in piedi. E più passano le ore, più trovare senatori e deputati disposti a far cadere il governo e arruolarsi nelle file degli antiberlusconiani solo per cacciare Feltri e chiudere le cene di Arcore diventa sempre più difficile.

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