Fini: summit con Berlusconi sulla legge elettorale

nostro inviato

a Forte dei Marmi (Lucca)
«Giovedì, o forse già mercoledì, incontrerò Berlusconi proprio per valutare insieme a lui, e mi auguro con gli altri alleati, che cosa fare in Parlamento», annuncia conciliante Gianfranco Fini. Il “che fare?” riguarda ovviamente la riforma della legge elettorale e il leader di An sembra auspicare un vero e proprio vertice della Casa delle libertà, con l’Udc e la Lega, visto che da secoli il centrodestra non affronta collegialmente l’argomento. E se non fosse possibile un summit, quanto meno un faccia a faccia chiarificatore tra Fini e Berlusconi, dal momento che proprio tra Forza Italia e An si sono accese le maggiori frizioni. Ma credete che Fini vada all’incontro come fosse a Canossa? Disposto ad ammettere l’isolamento e la debolezza in cui lo hanno costretto le ultime prese di posizione del leader della Cdl? Nemmeno per sogno. Almeno pubblicamente vanta una posizione di forza, lascia intendere che si presenterà a Berlusconi ed eventualmente agli altri “amici” con le armi cariche. Perché a metà della settimana prossima, spiega, «avremo superato il traguardo delle firme» per il referendum, che risulteranno superiori a quota 550mila. Adesso dunque, «l’ipotesi di una riforma della legge elettorale non è più legata soltanto a un eventuale accordo parlamentare ma anche all’altra strada, quella del ricorso alle urne nella primavera dell’anno prossimo». Ma pur se le firme superano il livello di garanzia, è sicuro che poi la Corte costituzionale non gli spunti quest’arma, dichiarando improponibile il quesito referendario? «Ne ho parlato con l’ex presidente dell’Alta corte Annibale Marini. Mi dice che possiamo stare assolutamentetranquilli», taglia corto Fini.
Il leader di An è così convinto della propria posizione, da correggere anche i suoi colonnelli più possibilisti e aperti al dialogo. Cinque minuti prima, sul palco del meeting di Azione universitaria, Ignazio La Russa aveva aperto a Forza Italia riconoscendo che «le modifiche della proposta Alimonte alla legge elettorale in vigore potrebbero farla diventare una buona legge», e promettendo che la linea che annuncerà, in quanto capogruppo a Montecitorio, offre tre ipotesi di scelta: «O cambia la legge e si torna ai collegi uninominali, o si torna alle preferenze, oppure si istituzionalizzano le primarie anche se questo mi sembra impossibile al momento». E Fini ha commentato: «Chi vi dice che anche quelle modifiche siano sufficienti ad evitare il referendum? Io non ne sarei così sicuro».
Poi, parlando ai giovani universitari di An, Fini ha ammesso di non saper dire se il bipolarismo sia già morto o in grave asfissia, ma «certamente tira un’aria che non è tra le più rassicuranti». Ribadendo però subito che poiché «in Parlamento ora si sa che la prospettiva del referendum è concreta, in molti cercheranno di evitarlo». Che farà An? «Se verrà partorita una soluzione che salvaguarda il bipolarismo, avrà il nostro sì. Ma se dovesse passare la sciagurata ipotesi di lasciare ai partiti le mani libere dopo le elezioni, ci sarà da parte nostra la più ferma opposizione». Non sembra aver dubbi, il Fini che pur s’appresta all’incontro “di pace” con Berlusconi; afferma che «alle preferenze che tanti guasti hanno provocato in passato grazie ai padroncini dei voti, preferisco piccoli collegi uninominali», e tuona: «È vero che è grave espropriare l’elettore del diritto di scegliere tra i candidati, ma ancor più grave è espropriarlo del diritto di scegliere da chi essere governato».
Insomma, il modello elettorale tedesco continua a non piacere a Fini, né poco né punto. Anche perché il referendum, che ora non è più soltanto una minaccia, è caricato dall’intera An di una forte funzione catartica. «La stagione del governo Prodi è già archiviata», ha ripetuto ieri Fini. Ma tutti i dirigenti che in questi due giorni sono sfilati sul palco organizzato dal giovane presidente degli universitari di destra, Giovanni Donzelli, si dicono convinti che in primavera, davanti all’appuntamento referendario, il governo Prodi cadrà. Non solo Fini, ma tutti: da Gianni Alemanno a Maurizio Gasparri, da Altero Matteoli a La Russa. Sempre che Prodi non cada prima, sulle pensioni ad esempio.

In ogni caso, se ne dovrebbe dedurre che andremo a votare senza referendum e senza riforma, con questa legge elettorale. E in tal caso, ha precisato Fini intervistato a sera alla Versiliana, l’unica correzione possibile sarebbe «di una riga: quella per far diventare il premio di maggioranza al Senato da regionale a nazionale».

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