Fisco, riforma liberale e senza salassi

Lo spostamento del peso dalla tassazione diretta a quella indiretta, eliminando le sacche di evasione, porta a un sistema più equo senza danneggiare le entrate. E un'aliquota top al 37% ci renderebbe più competitivi

Fisco, riforma liberale e senza salassi

La proposta di riforma della tassazione personale rilanciata da Silvio Berlusconi non è uno spot elettorale, come dice l'onorevole Bersani. E non è vero che il premier promette la riduzione ma non mantiene le promesse. In questa legislatura è stata abolita l'Ici sulla prima casa e sono stati detassati parzialmente i redditi da orari straordinari, due promesse mantenute. Nella legislatura 2001-2006, l'Irpef è stata portata da 5 aliquote a 4, si è ridotto il peso sui redditi minori, con una no tax area. E ci si è avvicinati alla riforma con due aliquote del 23% e del 33%, stabilendo che quella del 39% scattasse solo al livello di 70mila euro, mentre sopra i 100mila una aliquota del 41% più un contributo di solidarietà del 4%.
Purtroppo il successivo governo Prodi ha picconato questa riforma. Ha riportato le aliquote a 5. Ha stabilito fra i 55 e i 70mila euro l'aliquota del 41% e l’ha riportata al 43% sopra i 70 mila. Se la riforma graduale iniziata nel 2003 non ha fatto passi avanti, ma indietro, è colpa del governo Prodi. Allora il costo della riforma era di 18 miliardi. Ora forse 25. Ma la riforma è più che mai necessaria. Infatti l'Italia ha un primato negativo nell'eurozona e nell'Unione europea per la pressione fiscale che era nel 2008 del 42,8% del Pil contro la media del 40,5% nei 15 Paesi euro e del 38,5% negli 11 non euro. L'Italia ha soprattutto un primato negativo nella pressione delle imposte dirette che è il 15,4% contro l’11,5 dell'area euro. Ed in quella non euro essa è il 13,5. Anche per le imposte indirette la nostra pressione è maggiore della media, ma il divario è molto minore. In Italia le imposte indirette sono il 13,7% del Pil, nell'area euro sono il 12,5 e nell'area non euro il 13,6. Le imposte indirette non interferiscono nella concorrenza internazionale perché sono pagate dal consumatore e quindi non gravano sull’export, mentre sono identiche per i beni importati e per quelli nazionali consumati in Italia. Non così le imposte dirette, che invece determinano il divario di retribuzioni nette dei lavoratori e di redditi delle varie attività economiche. Inoltre per le società, grazie alla riforma Tremonti del 2003, ora la pressione dell'imposta diretta sul reddito è del 31%. Se non ci fosse anche l'Irap indetraibile dall'Ires noi saremmo messi bene nella concorrenza internazionale. Si tratta solo di attuare questa detrazione, il cui costo è lo 0,5% del Pil. Invece molto grave è il nostro divario per l'imposta personale sul reddito.
Dunque, la riforma lanciata da Berlusconi nel 1994 è valida e necessaria. Nello schema del 2003, attuato parzialmente nel 2005, per i redditi sopra i 100mila euro vi era un contributo di solidarietà del 4%. È demagogia, ma a volte essa è necessaria, per fare digerire alle classi medie e ai bassi redditi il sacrificio fiscale pesante, che loro si chiede. Anche con tale contributo la riforma ci renderebbe competitivi in sede internazionale perché l'aliquota top sarebbe del 37% contro l'attuale 43% e, soprattutto, essa scatterebbe solo sopra i 100mila euro. In ogni caso, nell'azione graduale per arrivare a una imposta personale migliore, occorre partire soprattutto dai redditi medi e bassi. Per il finanziamento immediato della riforma, oltre al contenimento delle spese, ove non mancano le possibilità, occorre reperire risorse sul lato delle entrate, modificando il rapporto fra imposte indirette e dirette. Ho scritto «finanziamento immediato» perché nel medio termine la riduzione delle tasse può generare maggior gettito. L’espressione «imposte indirette» fa scattare i soliti critici che pensano che si tratti di aumentare l'aliquota del 20% dell'Iva. La questione è diversa. Il gettito dell'Iva in Italia, in rapporto al Pil, a parità di aliquota media è minore che nella media europea a causa dell'alta evasione. Essa arriva al 40% dell'imponibile teorico, ossia su 100 di base imponibile al fisco ne viene dichiarato solo 60. C'è un’enorme massa di operatori anomali, che, grazie a questa evasione, fanno concorrenza a quelli normali. E ciò comincia alle frontiere. Inoltre nell'Iva (ma anche in altri tributi) ci sono molti esoneri irragionevoli. Quando si richiama l'esigenza di spostare il peso dalla tassazione diretta a quella indiretta è a questo che ci si vuol riferire.

La riforme fiscale è necessaria, va fatta gradualmente, ma con un piano sistematico. E se non riprenderemo il cammino interrotto nel 2006, avremo una bassa crescita economica perché la tassazione diretta eccessiva frena la crescita.

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