Ramai, ceramisti, tessitori, orafi, conciatori, vetrai: tutto un mondo di sapienti artigiani ritratti nel dedalo dei vicoli coperti del Gran Bazar di Istanbul. Sono loro i protagonisti della mostra fotografica Bezestan/Grand Bazaar di Figen Çiftçi, allestita presso lo spazio espositivo dellUfficio cultura dellambasciata turca (piazza della Repubblica 55-56) fino al 22 gennaio. La mostra vuole essere un riconoscimento questo che la metropoli turca merita a pieno titolo, essendo lunica città al mondo, almeno così ci piace credere, dove la Sapienza (Sofia) è chiamata tuttora «santa». E il fascino di questo luogo, che tanti scrittori hanno immortalato nelle loro pagine, da Loti al nostro De Amicis, da Pamuk a Jason e a tanti altri, ha colpito pure la fotografa Çiftçi, nata proprio a Istanbul, che nei suoi scatti cattura come in un caleidoscopio colorato le mille sfaccettature del grande mercato coperto, che ospita al suo interno più di 3000 botteghe e raggiunge punte di 400mila visitatori al giorno.
Costruito a partire dal 1460 dal sultano Maometto II, fu chiamato inizialmente Bezestan, dalla parola araba «bezzaz» (tessuto), e nel XVII secolo Bedesten. Bazaar (mercato) deriva invece da un termine persiano che indicava quattro porte. Il Grand Bazaar pulsa di vita, tra gli aromi di panini al sesamo e di ciambelle allanice, il tè alla menta e linsistente musica di sottofondo che accompagnano le trattative commerciali. Anche se lartigianato sta scomparendo piano piano anche a Istanbul, sotto la pressione dei centri commerciali e dei grandi magazzini, gli artigiani ritratti nella mostra ancora si trasmettono il mestiere di padre in figlio. La fotografa annota il nome di ognuno di essi e ci fa sapere da quanti anni esercita il mestiere. Non di rado troviamo incisori, argentieri o gioiellieri che dichiarano 30-40 anni di lavoro. Cè pure chi ripara vecchi grammofoni destinati ormai a scomparire.
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