La Francia rimette il grembiule agli studenti

Basta con ombelichi al vento e abbigliamenti da lolita. Ma la divisa è soprattutto un antidoto all’ostentazione di simboli religiosi

Gaia Cesare

Assembrati davanti al portone della scuola o nei cortili dei licei li vedi in jeans e maglietta e ti sembrano tutti uguali e anche un po’ trasandati.
Poi li guardi bene e l’impressione è che siano pronti per una sfilata di moda: indossano capi d’abbigliamento con tanto di firma in bella vista e scarpe da ginnastica con un logo ben riconoscibile. Insomma, degli studenti squattrinati resta solo la fama, rimpiazzata da una mise che costa una fortuna. È contro questo abuso delle grandi marche nelle scuole, contro le firme ostentate per vanità che il centrodestra francese ha riaperto il dibattito sulla reintroduzione delle uniformi nelle aule scolastiche.
Il primo a lanciare l’idea è stato François Bayrou, leader del partito Udf, l'Unione per la Democrazia: «So di dire qualcosa di apparentemente reazionario, ma se vi accorgete del peso che hanno le grandi firme nelle scuole, le migliaia di euro che vanno via per avere una certa marca di pantaloni o una t-shirt alla moda, trovo che ci sia qualcosa di spaventoso, di destabilizzante per le famiglie. Bisognerebbe forse che riflettessimo sul modello britannico dell’uniforme».
All’inizio sembrava una boutade senza grosse ripercussioni, ma l’uscita del leader dell'Udf ha rilanciato in Francia un tema assopito dal 1968 e considerato oggi in Europa solo un vezzo della severa e tradizionalista scuola inglese. A ravvivare la questione, dandole un rilievo del tutto inatteso, è stato il ministro dell'Istruzione, Gilles de Robien: «Anche se bisogna guardarsi bene da ogni forma di dogmatismo, l’idea dell’uniforme a scuola può essere interessante se evita la corsa all’abbigliamento più costoso. Perché non sperimentarla in qualche istituto che ne faccia richiesta?».
I fashion-victim, insomma, quei ragazzi ossessionati dallo stile all'ultima moda, sono avvisati. La Francia potrebbe presto allinearsi, anche solo in via sperimentale, al modello adottato dai sudditi della corona inglese.
La nuova crociata contro le grandi marche, d’altra parte, ben si sposa con altre simili battaglie. Una settimana fa il sindaco neogollista di Raincy, Eric Raoult (già venuto alla ribalta durante gli scontri con gli immigrati esplosi nelle banlieu) si era pronunciato contro lo stile «lolita», contro quelle ragazzine che «portano i pantaloni bassi in modo che si veda l’ombelico e i primi peli del pube» e alle quali - a detta sua - «non sarebbe concesso nemmeno di entrare in discoteca la notte». Quale miglior soluzione dell’uniforme, che ogni istituto potrebbe introdurre nel proprio regolamento interno? La divisa scolastica è considerata inoltre da molti un antidoto all’ostentazione dei simboli religiosi nelle scuole, un tema ancora dibattuto anche in Francia, nonostante il Parlamento si sia pronunciato con un netto divieto nel 2004.


Eppure a stroncare il progetto è intervenuto subito il Peep, la principale organizzazione che raccoglie i genitori degli studenti francesi. La proposta - dice la presidente Anne Kerkhove - «finge di risolvere il problema di fondo: le distinzioni sociali non restano fuori dalla scuola perché c’è un'uniforme».

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