Frena l’economia Usa, le Borse festeggiano

Positivi anche i listini europei. In calo dollaro e petrolio. Rivisti al ribasso i tassi di sviluppo tra il 2003 e il 2005

Angelo Allegri

da Milano

L’economia americana frena bruscamente e allo stesso tempo da San Francisco a Boston tornano a farsi minacciose le pressioni sui prezzi. I dati resi noti ieri dal dipartimento del commercio Usa confermano il momento delicato della più grande economia mondiale. Da una velocità di crescita del 5,6% nel primo trimestre si passa a un incremento del prodotto interno di 2,5 punti percentuali nel periodo tra aprile e giugno. Rallentano i consumi (dal 4,8% al 2,5%) e gli investimenti, con un picco negativo per gli impieghi relativi alla costruzione di nuove case (in calo del 6,3%), messi a dura prova dagli ultimi recenti aumenti dei tassi sui mutui.
Al contrario a crescere è l’inflazione: l’indice dei prezzi al consumo si assesta al 4% contro il 2,7% del precedente trimestre. Ad aumentare è anche uno tra gli indicatori più utilizzati dagli economisti e dalla stessa Fed per misurare le pressioni inflazionistiche sul Pil: il Pce price index (deflattore del Pil per le spese di consumo personale). Pur escludendo le componenti più volatili e stagionali dell’andamento dei prezzi, e cioè energia e cibo, il Pce è cresciuto al 2,9% contro il 2,1% del primo trimestre. Il livello è il più alto dal 1994 ed è ben superiore al livello di tolleranza stabilito dalla Federal Reserve, intorno al 2%.
Proprio alla Federal Reserve al suo numero uno Ben Bernanke i dati di ieri mandano un messaggio all’apparenza contraddittorio. Da un lato il rallentamento della crescita, sia pure più accentuato delle previsioni degli analisti (intorno al 3%), potrebbe far parte di uno scenario benigno di «soft landing» (atterraggio morbido), utile per riallineare la marcia del sistema economico alle sue potenzialità (la capacità produttiva inutilizzata è ormai ai minimi), evitando eccessivi rischi inflazionistici. D’altro lato, proprio l’aumento dei prezzi sembra invitare a nuovi interventi sul costo del denaro. Il nodo dovrà essere sciolto dalla prossima riunione del Fomc, Federal Open Market Committee, incaricato di valutare l’ennesima stretta monetaria, in calendario l’8 agosto.
Dopo la diffusione dei dati di ieri sembrano rafforzate le ipotesi di una pausa nella tendenza rialzista dei tassi, che prosegue ininterrottamente dal giugno del 2004. Così hanno reagito i future sui tassi interbancari a breve, che ora scontano una probabilità di un aumento del costo del denaro pari al 35%, contro il 52% di metà mese.
Di questo parere anche la Borsa Usa, che ha visto gli indici in rialzo per tutta la giornata; alla chiusura l’indice Dow Jones ha registrato un più 1,07%, il Nasdaq un più 1,93%. In crescita anche i principali mercati europei.
Prevedibilmente in calo invece il dollaro, che si è attestato in serata a 1,2750 euro, con un progresso della moneta unica pari allo 0,4%. Più accentuate ancora le perdite del petrolio. I dati deludenti in arrivo da Washington hanno messo in discussione le stime sulla domanda di greggio degli Usa nei prossimi mesi e quindi raffreddato la speculazione rialzista legata agli avvenimenti medio-orientali. In serata il prezzo della qualità Brent (consegna a settembre) era di 73,62 dollari al barile con un calo dell’1,85%.

A rafforzare la tendenza, almeno psicologicamente, è stata anche la revisione dei dati sul Pil Usa dal 2003 al 2005. I dati rivisti sui tre anni mostranno che l’economia americana è cresciuta a un tasso medio annuo del 3,2%, lo 0,3% in meno di quanto comunicato in un primo tempo.

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