Galleria Credito Valtellinese

Dai dipinti alle opere plastiche, dalle illustrazioni alle vignette: sono più di duecento i «pezzi» che documentano l’attività del surrealista Maurice Henry e bene ha fatto la Galleria Gruppo Credito Valtellinese a dedicargli questa retrospettiva che, per la sua ampiezza, è la più completa finora realizzata in Italia (a cura di Dominique Stella e Guido Peruz, fino al 14 marzo, corso Magenta 59).
Nato nel nord della Francia nel 1907, dalla fine degli anni Sessanta Henry scelse del resto proprio l ’Italia come sua patria d’elezione: aveva sposato l’italiana Elda Zanetti e per amore la seguì a Milano dove morirà nel 1984 in un incidente di macchina. Ironico, dissacrante e dissacratore, invece di andare a vivere nel quartiere bohémien dell’epcoa, ovvero Brera, sceglierà prima Lambrate e poi Milano Due come suo luogo deputato: gli piaceva la campagna, disse, non sopportava gli intellettuali... A vent’anni Henry era andato a Parigi in cerca di fortuna: gli piaceva disegnare, aveva un penchant per l’umorismo nero, l’ironia che si sposa con il macabro. L’incontro con alcuni esponenti del gruppo Grand Jeu, René Daumal e Roger Vailland,. in primis, fu propedeutico a quello con il gruppo surrealista di Breton: si legò d’amicizia con Roger Vitrac e Jacques Prévert, cominciò a lavorare come reporter, critico cinematografico, disegnatore. Nel 1936, anticipando di un ventennio Christo e i suoi impacchettamenti di monumenti, oggetti, paesaggi, fasciò con stracci e garze un violino e lo intitolò «Omaggio a Paganini»... La sua prima personale è del 1941 e ha come padrino d’eccezione Jean Cocteau e come acquirente di grido di una sua opera Pablo Picasso. Sarà quest’ultimo più tardi a insegnargli a modellare la ceramica, perché una delle caratteristiche di Henry fu la curiosità, la voglia di sperimentare: nel dopoguerra diventerà un importante fotografo, si ritroverà a far parte dell’Accademia francese del Jazz, si cimenterà come attore comico in numerosi film, lui che negli anni fra le due guerre era stato sceneggiatore, con particolare capacità di gagman... La mostra si intitola «Une poétique de l’humour», perché poi Henry fu soprattutto questo, un poeta della risata: era il suo un umorismo, lo abbiamo già detto, nero, all’insegna della crudeltà. Per darne un’idea basterà ricordare quel disegno degli anni Cinquanta in cui un Gesù carico della sua croce, chiama: «Facchino!». Fra gli anni Venti e gli anni Sessanta disegnò e pubblicò qualcosa come 250mila vignette uscite su oltre 50 testate: la sua firma apparirà su riviste impegnate, quotidiani popolari, settimanali di politica e di costume.

L’esposizione di corso Magenta è per certi versi una sorta di risarcimento postumo: dopo la morte Henry era infatti un po’ caduto nel dimenticatoio e l’aver avuto in vita la fama di «inventore del disegno umoristico surrealista» ne aveva lasciato in ombra gli aspetti più propriamente pittorici e artistici in senso lato. Adesso il visitatore ha a disposizione una mostra in cui il suo estro visionario, il suo spirito inquieto e il suo gusto per la sperimentazione ricevono il giusto riconoscimento.

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