Una gara da capogiro: vince il governatore col grattacielo più alto

Il problema vero, adesso, è capire che cosa s’inventerà Roberto Formigoni. Perché ieri Roberto Cota, inaugurando il cantiere della nuova sede della Regione Piemonte, ha detto che la sua torre con 209 metri «sarà la più alta del Paese». Proprio ora che il governatore della Lombardia ha appena finito di dimostrare che il primato spetta al suo Palazzo Lombardia, il Pirellone-bis che misura 161,3 metri, e non alla dirimpettaia Torre Garibaldi di Cesar Pelli, in cima alla quale, a tradimento o per dispetto, è stata piazzata una guglia d’acciaio che ha spostato il tetto di Milano su su fino a 230 metri. L’antenna non vale, ha subito protestato il Celeste, perché «il Guinness dei primati misura i record dal punto calpestabile più alto di un edificio», e i 161,3 metri del Palazzo Lombardia svettano di ben 9,3 metri sopra i 152 del grattacielo di fronte. Dispute ad alta quota e che importano poi i costi, dai 400 milioni spesi dalla Lombardia ai 270 investiti dal Piemonte per l’edificio che sorgerà su una parte dei terreni dell’ex Fiat Avio. Del resto, ha spiegato Cota, la ricaduta immediata sul territorio sarà di 200 milioni, e i cittadini «sentiranno l’ente più vicino», potendo salire lassù a godersi la vista sulle Alpi.
E insomma la guerra del pennone non conosce pace, nemmeno in tempi di crisi, di consigliata sobrietà e di imposto rigore. Averlo più lungo, pardon, più alto, è simbolo di potere, non a caso la gara è bipartisan. Né coinvolge solo i governatori: l’ultimo iscritto alla competizione, la notizia è fresca di due giorni, è infatti il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti, che ha deciso di regalarsi, lui pure, una super torre in periferia. E che importa se gli costerà 263 milioni e se l’ente che amministra ha qualcosa come 880 milioni di debiti. Competition is competition. In verità, la battaglia col è persa in partenza. Non nella Capitale però, dove a fine anno la zingarettiana Torre Europarco con i suoi 120 metri supererà il Palazzo Eni, che all’Eur si arrampica non oltre gli 85,5 metri ma è da sempre l’edificio più alto.
Che poi, non è solo questione di svettare lassù dove non arrivano le polveri sottili. Il prestigio, si perdoni il gioco di parole, non si misura solo con le misure. Facciate e arredi hanno il loro grande perché. In Liguria per esempio, dopo cinque anni passati all’opposizione a tuonare contro l’allora governatore del centrodestra Sandro Biasotti che per la sua giunta creò una reggia, il centrosinistra di Claudio Burlando vinte le elezioni si insediò tranquillamente negli stessi uffici di pregiati marmi e fantozziane poltrone in pelle umana.
E non si dica che forse prima di disegnare progetti e affidare appalti bisognerebbe scomodare Freud. Perché in quel di Bologna a pretendere una nuova sede faraonica è stata, non troppo tempo fa, una donna, la presidente democratica della Provincia Beatrice Draghetti. È il caso di dire costi quel che costi, e le costerà 31 milioni di euro o su di lì. In barba anche al rischio di perdere, nel tragitto verso i nuovi uffici, un pezzo di maggioranza, visto che l’Idv per fermarla ha raccolto 400mila firme in tutta Italia, 12mila solo nel capoluogo emiliano.

Anche perché le Province sono da un bel po’ enti precari, vista la spada di Damocle (e dell’Europa) che dovrà falciarle via. Investita dai tuoni dell’Idv che denunciava «lo sperpero per un poltronificio», la Draghetti non ha fatto una piega: «Chi non è d’accordo può andarsene». Freud direbbe che è tutta invidia.

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