I pm: «Liguria ostaggio della mala calabrese» Ma il fatto non sussiste

(...) Lo ha scritto nero su bianco un giudice, che ha smontato il teorema proposto dal pubblico ministero Alberto Lari. Il fatto non sussiste, non ci sono le prove, ha fatto notare il giudice per l'udienza preliminare Silvia Carpanini. E in mancanza di prove che dimostrino la teoria dell'accusa, gli accusati non possono essere tenuti in galera. Così ieri sono stati liberati tutte le 10 persone arrestate con l'accusa di essere boss o giù di lì. Il pm Alberto Lari e il procuratore aggiunto Vincenzo Scolastico avevano chiesto dodici anni per Onofrio Garcea, dieci anni e 8 mesi per Benito Pepe, otto anni per Fortunato e Francesco Barilaro, Michele Ciricosta e Antonio Romeo, nove anni per Rocco Bruzzaniti, sei per Lorenzo Nucera, Antonino Multari e Raffaele Battista. La posizione di Mimmo Gangemi, il fruttivendolo di San Fruttuoso ritenuto dalla procura il boss genovese insieme a Garcea, Condidorio e Nucera, era stata stralciata perché i capi d'imputazione corrispondono a quelli dell'inchiesta Crimine, mentre altri due imputati, Arcangelo Condidorio e Paolo Nucera, saranno processati a dicembre.
Se tornano liberi gli arrestati per l'inchiesta «Maglio 3», resta il terremoto provocato dagli arresti. Perché nel frattempo sono stati sciolti e commissariati dal governo i consigli comunali di Ventimiglia alla vigilia del voto e di Bordighera. Sospetti e veleni potrebbero riguardare anche Vallecrosia. Tutta la zona dell'estremo ponente ligure e i loro amministratori erano stati descritti come legati o almeno condizionati dalla malavita e dall'organizzazione che localmente faceva capo a Michele Ciricosta. Con la sentenza di ieri, per l'appunto, vengono probabilmente a cadere anche i presupposti di tanti provvedimenti. Il nome del sindaco di Ventimiglia, Gaetano Scullino, era stato tirato in ballo perché un suo biglietto da visita era stato trovato nelle carte sequestrate allo stesso Ciricosta, oggi assolto. Bufera politica anche su Alessio Saso, consigliere regionale Pdl, perché anche un suo santino elettorale era finito nei documenti del presunto boss. La direzione distrettuale antimafia aveva anche stimato che il politico, di origine calabrese, avrebbe avuto almeno mille delle oltre 6300 preferenze ottenuto proprio dai gruppi calabresi. Che per il pm Lari erano malavitosi, per il gup Carpanini no.
L'assoluzione di ieri è stata probabilmente legata anche al fatto che il perito nominato dal giudice ha ritenuto errata l'interpretazione data dai magistrati ad alcune intercettazioni.

Le trascrizioni dei carabinieri del Ros e la loro spiegazione di certe frasi pronunciate in dialetto sono state smentite da un «interprete» calabrese. Lari e Scolastico ritengono tuttavia di avere ragione: il procuratore capo Michele Di Lecce ha già annunciato che si opporranno alla decisione del giudice.

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