Se la satira tra urla e insulti confonde politica e teatro

(...) questa volta gli assenti hanno avuto torto. Perchè mercoledì abbiamo avuto la fortuna di firmare una di quelle serate che restano, che lasciano il segno, dove l'onestà intellettuale e la capacità di emozionarsi e magari di riuscire ad emozionare, vince su tutto.
Parlo in prima persona, visto che ho avuto la fortuna di essere il contraddittore, il «Fool» shakespeariano, di Lella Costa nell'incontro titolato «Il re e il suo buffone - Satira e politica», terzo dialogo sulla rappresentazione a cui partecipo dopo la lettura emozionata ed emozionante de La rabbia e l'orgoglio lo scorso 11 settembre da parte di Franca Nuti e il dibattito sull'«Odiologia» con Marcello Veneziani. Una serata, quella con Lella, premiata da un pubblico straordinario, in qualità e in quantità: attento, partecipe e numerosissimo, accalcato in ogni angolo del cortile d'onore del Palazzo del Comune e anche nel loggiato al primo piano.
Soprattutto, un pubblico non scontato. Con gente che la pensa (e probabilmente vota) in modo diversissimo uno dall'altro, ma comunque capace di mettersi in gioco, di mettere alla prova le proprie convinzioni. Con un gioiellino: fra gli spettatori c'era anche Giorgio Gallione, direttore artistico del teatro dell'Archivolto, in compagnia di Valentina Lodovini, la più intensa e brava (aggettivo forse troppo semplice, ma avendo visto tutti i suoi film non riesco a trovarne uno più adatto) delle attrici italiane dell'ultima generazione, ragazza di una simpatia e di una semplicità rara, che lavorerà a Genova al Modena nella prossima stagione. E anche questo è un segno: i teatranti sono una brutta razza, spesso gelosi uno dell'altro, ed è difficilissimo vederne uno a uno spettacolo dell'altro. Invece, Gallione ha visto il lavoro di una sua attrice come Lella Costa con Maifredi, dimostrando una grande umiltà e intelligenza. Esattamente come aveva fatto Maifredi quando sottoscrisse l'appello per la vita dell'Archivolto.
Una volta ripresomi dalla visione di Valentina, uno dei miei pochi beni culturali cinematografici, di fronte alla quale ero emozionato come un bimbo al primo giorno di scuola, proprio da fan, racconto questa storia perchè penso che sia paradigmatica. Che possa raccontare che un'altra Genova è possibile. Che il segno dato da Gallione e Maifredi sia l'immagine di come, stimandosi, si possa vivere in un mondo diverso. Meno piccolo e misero, meno autoreferenziale, più alto e nobile. Immagine di un ciclo che migliora di anno in anno e che si concluderà stasera alle 21, sempre a Palazzo Tursi, con l'incontro con Jòn K. Steànsson che, al netto di tutti gli accenti, è il maggiore autore islandese, pubblicato da Iperborea, la casa editrice che ha fatto la sua forza della ricerca delle perle nascoste degli autori nordici, e parlerà del «Potere della parola».
Poi, certo, l'incontro. In cui Lella Costa ed io - che in un ipotetico parlamentino del teatro staremmo probabilmente su due sponde contrapposte - abbiamo iniziato a parlarci. Trovandoci ad emozionarci insieme sugli stessi spettacoli, ad esempio i racconti di «teatro civile» di Marco Paolini e soprattutto di Marco Baliani. Storie e racconti che non hanno bisogno di spacciare per satira la lettura di atti giudiziari, nè di forzare i toni urlando e insultando, ma emozionano con la dolcezza, l'amarezza e la durezza della memoria.
Proprio da lì siamo partiti, dai nostri gusti e dalle nostre emozioni di spettatori come tanti altri, trovandoci in un attimo in una sorta di grande coalizione dell'amore per la Bellezza e del teatro di emoziona. Ma, allo stesso modo, senza paura di fare nomi e cognomi, anche a rischio di scontentare qualcuno del pubblico, ci siamo trovati d'accordo su quello che non ci piace. O, quantomeno, non rientra nella categoria del Buffone di corte di William Shakespeare, il «matto savio» che ha libertà di parola. E con Lella ci siamo detti che i Beppe Grillo e le Sabina Guzzanti di oggi, il loro urlare con parole sempre più forti e sempre più svalutate, non è il nostro mondo, che lì non ci troviamo.


Poi, alla fine, abbiamo letto e commentato la favola di Andersen I vestiti nuovi dell'imperatore, quella in cui un bimbo smaschera il grande inganno dicendo che il re è nudo. Era una favola, ma sembrava il riassunto di una bella serata. In cui noi eravamo il bimbo. «Che - ha sorriso Lella - dopo l'esclamazione, nessuno sa che fine abbia fatto».

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