Gergiev: «Rilancerò l’opera russa in patria e nel mondo»

Il direttore inaugura lo storico Teatro Mariinsky. «Il futuro della Scala? Lo vedo un po’ confuso»

Aridea Fezzi Price

da San Pietroburgo

Rivitalizzare le arti e risvegliare la coscienza russa è un impegno che Valery Gergiev si è preso per il suo Paese e per la più bella delle sue città, San Pietroburgo, dove il nuovo benessere non ha ancora dissolto la cappa di indifferenza e apatia. Il direttore, responsabile musicale, artistico e amministrativo dello storico Teatro Mariinsky, si batte per esportare un’immagine della Russia più coerente con il suo ricco retaggio culturale, e per riportare in primo piano, nel suo Paese, la grande musica russa annullata nel vecchio regime. A San Pietroburgo mercoledì sera ha aperto la nuova sede stabile dell’Orchestra sinfonica del Mariinsky - eretta sulle ceneri dell’ottocentesco capannone per le scenografie e i costumi bruciato in un incendio nel 2003 - dopo un’intensa campagna da lui orchestrata per raccogliere i fondi necessari, dirigendo il concerto inaugurale.
Fusione organica di storia e modernità dell’architetto francese Xavier Fabre (allievo di Aldo Rossi, tiene a dire), acustica perfetta del giapponese Yasuhisa Toyota, il nuovo auditorio è una sala elegante di 1150 posti e uno spazio per 300 studenti in piedi, dove l’orchestra eseguirà soprattutto concerti sinfonici, e dove, insiste Gergiev, il quaranta per cento del tempo e delle esecuzioni sarà dedicato ai giovani e alla sperimentazione. Perché sì, il mondo della musica ha bisogno di cambiamenti.
Abbiamo incontrato Valery Gergiev il mattino dell’inaugurazione, in una sala barocca del vecchio Mariinsky imperiale. Gergiev, 53 anni, nato a Mosca, non è solo un direttore d’orchestra, è anche una personalità vulcanica, di una astuzia politica che lo rende il più rispettato artista in Russia. Il Mariinsky è il suo «Palazzo d’inverno», ne progetta un ampliamento dell’impianto originale nel 2008, nel frattempo si dedica alla nuova sala, e alla musica russa, ma dal programma della serata inaugurale non ha omesso né Beethoven né Verdi dirigendo con rara intensità l’ouverture della Forza del Destino.
Quali sono i suoi progetti immediati per il Mariinsky?
«Portare nel mondo le opere realizzate qui, come la nostra tetralogia wagneriana che in questi giorni inaugurerà il nuovo teatro lirico di Cardiff nel Galles, riportare in repertorio tutti i concerti di musica russa per esportarli e per rinforzare la tradizione vocale e strumentale dei nostri solisti, coinvolgere sempre di più i giovani e convincerli che è la cultura lo specchio dei cambiamenti della nuova Russia».
Sciostakovich, con il suo ciclo completo di concerti e sinfonie ha voluto darne un’interpretazione nuova?
«Ho voluto sottolineare la grandezza della sua musica senza ricorrere alle sfumature politiche. Era un grande musicista, al di là delle difficoltà vissute nelle sue ultime sinfonie c’è ancora la naïveté pura dell’artista».
In gennaio diventerà direttore stabile della London Symphony Orchestra. Lei sostiene che un direttore debba possedere forti qualità di leadership, come in una corporation.
«E lo ribadisco. Tutte le orchestre oggi devono battersi per sopravvivere. A tenere insieme le filarmonie più famose, Vienna, Berlino, è soprattutto l’orgoglio».


Che soluzione vede per il futuro della Scala?
«È una tragedia, la Scala è un’istituzione importante, è il simbolo dell’Italia, l’orchestra è eccellente e continuerà ad esserlo, e Muti continuerà ad avere successo. Ma che cosa succederà della Scala non riesco proprio a immaginare».

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