Germania modello del calcio mondiale Ma solo per i conti

Il pallone, a Dio piacendo, non va di pari passi con la politica. E la Germania si trova sola soletta a difendere i diktat di Angela Merkel sull’eurozona contro l’invadenza di Italia, Portogallo e Spagna, considerati alla stregua di vassalli. Manca all’appello la Grecia, sarebbe stato troppo. Si dice solitamente che nel calcio la ricchezza fa la differenza. In realtà a dettare il ranking sono i debiti: chi più ne fa, più vince. Il Barcellona è il miglior club del mondo, ma vanta un deficit di 364 milioni. Real Madrid, Manchester United, Manchester City, Arsenal, Liverpool e Valencia ne hanno ancora di più. Fuori da questa viziosa classifica sono i club tedeschi, costretti dalle leggi locali a tenere i bilanci in ordine e capaci di fare calcio senza finire in rosso fisso. In Germania il sistema è più evoluto, pare quasi di un altro pianeta, grazie soprattutto al rinnovo di tanti impianti e alla costruzione ex novo di altri, fra cui la modernissima Allianz Arena di Monaco. Ma non si tratta solo di investimenti. Dietro c’è una progettualità sconosciuta alla nostra Lega di A che si distingue invece con continui e velenosi conflitti.
Ma vediamo quanto distano i due mondi prendendo in esame i dati relativi alla stagione 2010-’11. Sui ricavi da gare e sul numero degli spettatori la Bundesliga vince a piene mani sulla Serie A benché si giochi a 18 squadre invece che a 20: incassa 379 milioni contro 191 e vanta oltre 13 milioni di spettatori, circa 3,5 più del nostro campionato. La capienza media è da record con quasi 43mila spettatori, noi ci fermiamo a 25mila. In Germania i tifosi vanno allo stadio, prenotano gli abbonamenti con un anno di anticipo, acquistano i biglietti su internet, non hanno a che fare con la burocrazia e i divieti di casa nostra. Negativi anche i ricavi da marketing (133 a 77) e dai main sponsor (118 a 66). La Serie A stacca invece la Bundesliga nella valorizzazione dei diritti tv, addirittura la doppia con 860 milioni rispetto a 415. C’è di più. In questo ambito il campionato tedesco è il fanalino di coda delle cinque maggiori leghe europee, soprattutto nella cessione delle immagini all’estero.
Del calcio tedesco il Bayern Monaco è il signore e padrone per il fatturato che genera, specie da quando ha inaugurato, era il 2006, il nuovo impianto che contiene 69.901 spettatori e all’esterno si illumina con i colori della squadra: 323 milioni contro 236 del Milan, 224 dell’Inter e 205 della Juventus che quest’anno ha compiuto un forte salto in avanti con l’apertura del nuovo impianto Ma ciò che più desta impressione sono i ricavi da stadio (67 milioni) e da merchandising (173): in totale 240 milioni. Come possono competere i nostri club che fatturano in questi due settori somme sensibilmente inferiori? Il Milan si ferma a 94 milioni, ma al termine di questa stagione dovrebbe assestarsi attorno ai 115 milioni grazie alla politica portata avanti con Infront sui mercati stranieri; l’Inter arriva a 87 milioni; più indietro la Juventus con 75 milioni che dovrebbero diventare 110 alla fine di questo campionato.
Non c’è partita fra Germania e Italia quanto a numeri e prospettive: da quelle parti stanno sfornando altri stadi, da noi la legge sugli impianti sportivi ha preso il posto di una pallina da ping-pong in una partita infinita fra Camera e Senato e i progetti dei signori presidenti si fermano ai plastici. Eppure c’è da sperare prendendo in esame proprio il Bayern Monaco che figura al quarto posto assoluto nella classifica del fatturato dietro a Real Madrid, Barcellona e Manchester United. E che, rispetto a questi club, ha un deficit irrisorio di bilancio. Insomma è ricco, non ha debiti particolari, va quasi sempre a break-even, ma non vince niente da tre anni a questa parte. Ci arriva vicino e poi ci rosica sopra. A immagine e somiglianza dell’olandese Robben, uno dei suoi assi, che ha mancato i gol vincenti sia nella finale del mondiale sudafricano che in quella dell’ultima Champions League. Nel maggio 2010 la squadra bavarese non ci ha capito nulla con l’Inter di Mourinho che ha vinto la coppa dalle grandi orecchie grazie alla doppietta di Milito. E una. L’anno dopo fu eliminata negli ottavi di Champions League dall’Inter (ma guarda un po’) e finì terza in campionato. E ancora. L’ultima stagione può rappresentarsi con una foto del Titanic che si inabissa nell’oceano. Al diavolo Gomez e compagni: secondi in Bundesliga dietro gli odiati rivali del Borussia Dortmund e nuovamente al tappeto nella finale di Champions League dopo aver compiuto l’impresa di eliminare il Real Madrid. A batterli, per di più in casa, il Chelsea guidato dall’italiano Di Matteo (solo una coincidenza?) che a sua volta s’era preso il lusso di far fuori il Barcellona. Bene. In Nazionale ci sono 8 giocatori del Bayern Monaco. Tirate pure di conto.


Ci sarebbe poi da chiedersi perché la Germania, ricca e opulenta, non riesce a superare l’Italia degli abatini di breriana memoria negli incroci che contano: la semifinale di Mexico 70, etichettata come la partita del secolo scorso; la finale di Spagna 82 dominata in lungo e in largo nonostante il rigore sbagliato da Cabrini; la semifinale del mondiale disputato a Dortmund. E adesso rieccoci in semifinale a Varsavia. Alla faccia del pil, dei bond e di Angela Merkel.

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