Ghisallo, addio museo: la storia del ciclismo va in cassa integrazione

Non ci sono più soldi e quindi scatta la chiusura per cinque mesi. Si mobilitano tutti: dai campioni a Colnago, da Sorbini a Squinzi

Ghisallo, addio museo: la storia del ciclismo va in cassa integrazione

Dici Ghisallo e pensi a Coppi, Bartali, Merckx, ai Giri d'Italia e Lombardia. Dici Ghisallo e rivedi il Santuario della Madonna che nel 1949 Papa Pio XII proclamò patrona universale dei ciclisti, con la suggestiva fiaccolata votiva benedetta dal Pontefice portata da Roma al Santuario da una staffetta di ciclisti: gli ultimi furono Bartali e Coppi.

Dici Ghisallo e lassù, dove osano le aquile, ripensi a quel Museo del ciclismo, fortissimamente voluto da Fiorenzo Magni, inaugurato il 14 ottobre 2006, edificio di tre piani indispensabile per contenere i ricordi e le testimonianze dei campioni delle due ruote che avevano riempiti all'inverosimile la chiesetta. Tra bici di Giro e Tour, borracce, oggetti ricordo, all'interno del Museo è esposta la più grande collezione di Maglie Rosa al mondo, grazie al progetto «Giro for Ghisallo», oltre 50 maglie originali dal 1930 a oggi si possono ammirare nella sala principale del Museo. Ma forse è meglio dire «si potevano ammirare», perchè dalle 18 di ieri il Museo ha chiuso i battenti, non ci sono più soldi per il riscaldamento e per almeno 5 mesi, fino al 31 marzo, nessun appassionato potrà più gustare la poesia del ciclismo. Con un rischio ancora maggiore, però, perchè se non si reperiscono i fondi necessari per le spese di gestione e gli stipendi dei tre impiegati (la segretaria è già stata licenziata e gli altri due sono in cassa integrazione fino al 31 dicembre), il Museo non riaprirà più. E chi lo va a dire adesso alle miglia di ciclisti che ogni anno arrivano ai 754 metri del Ghisallo per «abbeverarsi» di storia ed emozioni?

La mobilitazione è scattata, tanto dispiacere, tante parole ma ora si aspettano i fatti. Da Adorni a Gimondi, dal presidente del Coni Malagò a Pierluigi Marzorati, dagli industriali delle bici come Ernesto Colnago e il patron della Mapei Giorgio Squinzi, Alberto Sorbini presidente di Enervit, gli operatori locali, tutti si sono dichiarati disposti a dare una mano, anche finanziaria. Chi ha le idee chiare è Alberto Sorbini, presidente di Enervit: «Non occorre un genio, ma un manager che s'impegni otto ore al giorno per guidare il Museo e che ci sia un piano credibile di programmazione». Così Colnago: «Occorrono una prima fase per tappare il buco e una seconda per ripartire. Anche perchè i biglietti d'ingresso (6 euro) e il merchandising non sono sufficienti. Magni pensava di lanciare una linea di bici «Ghisallo» o «Leone delle Fiandre», ma forse è più facile organizzare eventi col Ghisallo protagonista».

La patata bollente non poteva che finire in mano ai politici e Antonio Rossi, assessore regionale allo sport, non si tira indietro.

«Insieme alla collega Cristina Cappellini, assessore regionale alla cultura, ci siamo subito attivati raccogliendo le opportune informazioni e nei prossimi giorni ci confronteremo con i responsabili del Museo, i rappresentanti del territorio e tutti gli operatori di buona volontà. Insieme al Coni cercheremo di individuare nuove forme di gestione, un esempio che valga per tutte le strutture sportive lombarde. No, il Museo non sparirà, è patrimonio mondiale dello sport e va conservato e protetto».

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