Gilberti, il re della carta griffata nel club dei quattro grandi d’Europa

Negli ultimi quindici anni il gruppo Cordenons ha investito circa 100 milioni di euro in ricerca e tecnologie avanzate

Produce carta. Ma non quella usata per i giornali, Ferruccio Gilberti produce carta speciale. E cioè carta che al tocco sembra gomma ed è spesso utilizzata nelle brochure più raffinate o in particolari occasioni come ha fatto la De Agostini per il 60° del «Premio Strega». Carta di sicurezza per l’antifalsificazione, carta con i colori cangianti, carta con l’effetto plastica e con l’effetto metallizzato, carta quasi vellutata, carta patinata di lusso e per il packaging dei profumi, carta per il gioco del Bingo, carta per i ciechi e quindi adatta per i caratteri Braille, carta per la stampa digitale, carta per i biglietti da visita, carta ecologica, carta da filtro per liquidi alimentari come olio e vino, carta per le piastrine insetticida, carta arancione scelta da Hermes per la propria immagine coordinata. Insomma, una varietà incredibile. Qualcosa come, sostiene Gilberti, «duemila tipi di carte speciali che ci pongono tra le prime quattro aziende del settore a livello europeo».
Al Pacino. Discreta rassomiglianza con Al Pacino, modo di fare da gran signore abituato a frequentare il mondo dei Vip anche se riconosce di non amare il golf ma di avere comunque praticato molti altri sport, dallo sci al safari in Africa, Ferruccio Gilberti è il proprietario del gruppo Cordenons, quartiere generale a Milano, tre stabilimenti sparsi tra Cordenons, nei pressi di Pordenone, la Valsugana e quindi nei dintorni di Trento, e Malmedy, in Belgio, con una produzione di 400 tonnellate di carte speciali al giorno, materia prima acquisita nei Paesi scandinavi e in Sud America, 550 dipendenti, 130 milioni di fatturato con l’export che incide per il 74% e con l’India e la Cina ai primi posti, filiali a Boston e Parigi ma vendite in tutti i continenti grazie a un network di oltre ottanta distributori coordinato da Valentino Ferri e grazie a un amministratore delegato tecnico, Giorgio Monacelli, il leone di Venezia con la coda all’insù come logo, investimenti in tecnologie avanzate per circa cento milioni di euro negli ultimi quindici anni. Commenta Gilberti: «Siamo una realtà molto innovativa pur operando nella old economy».
Quarta generazione. Classe 1945, originario di Courmayeur dove la famiglia era sfollata durante la guerra ma dove aveva anche un bel po’ di proprietà, Gilberti abita a Milano nella centrale via Senato ed è un imprenditore della quarta generazione. Dice: «Quarta generazione di cartai». E cartai con nomi di peso. Il bisnonno è Beniamino Donzelli, senatore del Regno e poi anche della Repubblica, nativo di Treviglio e scomparso nel 1952 a 89 anni dopo essere partito dal niente lavorando nelle Cartiere Binda, avere poi creato nel 1930 le Cartiere Donzelli, avere ricoperto per anni incarichi importanti, dalla presidenza della Banca Agricola Milanese a quella della Saffa, avere realizzato le funivie di Courmayeur e avere comprato, quindi raso al suolo e infine ricostruito il Grand Hotel Royal, l’unico albergo a metà degli anni Cinquanta con il riscaldamento centralizzato e i servizi nelle cento camere. Poi è la volta del nonno di Ferruccio, anche lui di nome Ferruccio, Ferruccio Gilberti; quindi è il turno del padre, Titta Gilberti, grande passione per l’alpinismo al punto da avere aperto tre nuove vie sul Monte Bianco e grande amore per Courmayeur fino a realizzare nuove funivie e skilift per un totale di 16 impianti e finanziare una prestigiosa scuola di sci.
La crisi e l’Efim. Negli anni Sessanta le Cartiere Donzelli entrano in crisi finanziaria, interviene l’Efim che è una delle tre società delle Partecipazioni statali dopo Iri ed Eni, finché nei primi anni Settanta la famiglia Gilberti esce del tutto dal capitale della cartiera che passa così interamente sotto il controllo dell’Efim, all’epoca presieduto da Pietro Sette. In quel periodo Ferruccio Gilberti, il figlio di Titta, non ha ancora trent'anni. Ha studiato allo scientifico, si è iscritto a economia ma ha mollato dopo avere dato solo pochi esami, si è occupato in azienda del commerciale prima di partire militare e fare l’ufficiale degli alpini ad Aosta. Quando rientra a Milano, le Cartiere Donzelli sono ormai dell’Efim con l’eccezione di una piccolissima cartiera in Valsugana rimasta invece alla famiglia Gilberti. Il padre gli dice: «Vai a chiuderla». E Ferruccio va. È davvero una piccola cartiera: situata nei pressi di Levico Terme, ha 45 dipendenti e produce tre tonnellate al giorno di carta per lettere. Ma alla fine Ferruccio cambia idea grazie anche ai consigli dell’avvocato Vettorazzi, ex segretario di De Gasperi: decide di proseguire l’attività pur non avendo una lira.
Inizia l’avventura. È il 1972 e Ferruccio ha 27 anni quando inizia la sua avventura imprenditoriale. Riammoderna i vecchi impianti con pezzi comprati spesso di seconda mano, si specializza in una nicchia di mercato, quella delle carte fini e speciali, e già dopo un anno ottiene i primi risultati: la produzione passa da tre a dieci tonnellate. «È stata la mia prima ristrutturazione tecnica», commenta. La seconda avviene una decina d’anni più tardi, nel 1984: la Zanussi, che con Lamberto Mazza svolge in Friuli un po’ il ruolo della Gepi salvando imprese in difficoltà, si ritrova con la Galvani, una cartiera storica di Cordenons conosciuta già ai tempi dei Dogi di Venezia e produttrice di carte speciali usate per gli insetticidi e per filtrare il vino. E Gilberti la rileva in modo da ampliare la gamma dei suoi prodotti ma, racconta, «non avendo abbastanza soldi per comprarla, mi accordai con la Zanussi per pagarla in cinque anni». Cambia il nome della società in Cartiera di Cordenons, riammoderna gli impianti vecchi in modo da renderli competitivi e produrre anche carte patinate fantasia e carte griffate, e dopo soli due anni può fare fronte al suo debito.
La terza ristrutturazione, che rappresenta anche l’inizio dell’internazionalizzazione del gruppo Cordenons, avviene nel 1997 con l’acquisizione della Intermills belga, una importante società anche questa in difficoltà, con un grosso stabilimento nei pressi di Spa, circa trecento dipendenti e una produzione di carte patinate di lusso destinate in particolare al mondo della moda con in più una linea specializzata in carte per le bibite e l’acqua minerale. Ed anche in questo caso Gilberti rinnova i vecchi impianti al punto che oggi l’intero gruppo dispone di cinque macchine continue di diversa larghezza, da un metro e sessanta sino a tre metri. L’85% della produzione riguarda le carte grafiche (da quelle goffrate a quelle colorate), il 15% le carte di sicurezza (in gran parte filigranate), il 5% le carte industriali (quelle per liquidi alimentari, per gli insetticidi, per i climatizzatori). Dice: «Mi posso definire un rebuilding, un ricostruttore di aziende in quanto ho sempre preso cartiere decotte e le ho rese competitive. Il segreto? Senza innovazione non si va avanti». Innovazione di prodotto e di processi produttivi ma anche innovazione nella logistica con due centri distributivi che riducono i tempi di consegna.
La quinta generazione. Gilberti ha due figli da due diversi matrimoni: il primo con Cristina Rivetti della omonima famiglia proprietaria un tempo del Gft di Torino, il secondo con Beatrice Tonolli, appartenente a una famiglia di industriali nel mondo dei metalli non ferrosi. Il primogenito si chiama Alessandro, è del 1972 e dopo sette anni di lavoro insieme al padre ha creato una propria azienda di comunicazione e immagine; il secondo figlio, Giovanni, 1984, è ora alla filiale di Boston dopo avere fatto per un anno l’operaio turnista a Cordenons. «La quinta generazione è operativa», commenta Gilberti il quale è un grande tifoso del Milan, ama vedere il calcio e i film in televisione mentre detesta i dibattiti, possiede una barca a motore a Portofino ma di solito se ne va in vacanza girando per il mondo a trovare i clienti mentre a Courmayeur è ora proprietario solo delle funivie estive insieme alla Regione Valle d’Aosta. Gli piace raccontare che il suo gruppo partecipa con l’Unesco al progetto «Trust the forest» per la salvaguardia della foresta vergine dell’Impassa Mingoulì, in Gabon, gli piace soprattutto delineare le strategie dell’azienda. Dice: «Voglio portarla più sulla trasformazione che sulla produzione».


Cioè? «Produrre sempre in Italia e in Europa ma costituire nello stesso tempo impianti leggeri in Cina e negli Stati Uniti». Impianti di trasformazione che lavorano il prodotto a basso valore aggiunto spedito dall’Europa e lo rendono ad alto valore aggiunto.
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